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 2025  maggio 22 Giovedì calendario

Alla Consulta il decreto anti Ong Piantedosi: giudici «ideologici»

L’udienza pubblica si è celebrata ieri, con un vivace confronto fra i legali dell’Ong Sos Mediterranee e l’avvocatura dello Stato. Ma bisognerà attendere alcuni giorni, lasciano intendere le fonti interpellate da Avvenire, per conoscere quale decisione prenderà la Corte Costituzionale in merito alla costituzionalità del cosiddetto Decreto Piantedosi, che più di due anni fa ha introdotto una stretta sull’operato delle navi delle Ong che soccorrono in mare i migranti. Da martedì sera, intanto, dopo l’approvazione del Senato è stato convertito in legge il decreto che trasforma in Cpr i centri costruiti dal governo italiano in Albania.
Il caso Ocean Viking
A sollevare la questione di costituzionalità sul decreto Piantedosi, varato nel gennaio 2023, era stato il tribunale di Brindisi, nell’ambito di un giudizio che aveva visto Sos Mediterranee ricorrere contro il fermo amministrativo imposto nel febbraio 2024 alla nave Ocean Viking, che aveva portato in salvo 261 persone. Nell’accogliere la richiesta di sospensione del fermo, i giudici brindisini avevano sottolineato come le attività di ricerca e soccorso in mare delle imbarcazioni umanitarie fossero «di per sé meritevoli» di tutela istituzionale.
I dubbi sollevati dalle Ong e la replica dell’Avvocatura
Di fronte alla Consulta, le principali questioni sollevate dai legali della ong riguardano il principio di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione e il principio di determinatezza. Quest’ultimo, in particolare, a loro parere sarebbe «incrinato dal fatto che il decreto subordina l’accertamento della condotta illecita della Ocean Viking alle valutazioni delle autorità di uno Stato terzo, in questo caso la Libia». La richiesta – ha argomentato il legale di Sos Mediterranee, Dario Belluccio – è che «la legge sia dichiarata incostituzionale per il suo carattere intrinsecamente penale». Per Belluccio, è «una norma criminalizzante e punitiva» da eliminare «perché in contrasto con le convenzioni internazionali che impongono l’obbligo di salvataggio in mare in qualsiasi caso e condizione». Il cardine del ragionamento è questo: «L’autorità italiana non può sanzionare le attività delle navi delle ong che si occupano del salvataggio in mare», considera ancora Belluccio, giacché esiste «un obbligo etico e giuridico per tutti di portare soccorso ai naufraghi». Non solo: «Nessuno può ostacolare un comandante nel compimento delle operazioni di soccorso in mare in base alla regola 34, capitolo 5 della convenzione Solas». Non la pensa così l’Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del governo Meloni. «È una sanzione mite, che consiste in 20 giorni di fermo della sola nave e non inibitoria del comandante», osserva l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia. A suo parere, non si è trattato «di una confisca o di un fermo per un lungo periodo, ma di una misura deterrente per scongiurare» che con navi non adeguate si metta «in pericolo la sicurezza dei salvataggi». Infine, secondo D’Ascia, è «complicato sostenere l’assoluta autonomia del comandante di una nave, rispetto alle indicazioni di qualsiasi autorità». Terminati gli interventi in udienza, la palla è passata ai giudici costituzionali, che presto si pronunceranno. «Qualunque sia la decisione della Consulta», considera la direttrice di Sos Mediterranee Italia, Valeria Taurino, «il fatto di essere di fronte alla più Alta Corte del Paese dimostra che lo Stato di diritto non è scavalcabile. Soccorrere chi è in pericolo di vita è un diritto e un dovere, e sta a chi vorrebbe rovesciare quel principio inviolabile dimostrare che così non è».
Il sì al decreto Albania
Martedì sera, intanto, l’Aula del Senato (con 90 sì, 56 no e un astenuto) ha confermato la fiducia posta dal governo sul decreto Albania che, essendo già passato alla Camera (sempre con la fiducia) è stato convertito in legge. Il testo, nel solco del protocollo fra Roma e Tirana, trasforma l’hotspot albanese di Gjader in un Cpr, dove trattenere i migranti irregolari trasferiti dai centri italiani (che sulla carta contano comunque su 1.400 posti) e sui quali pende un decreto di espulsione. «Sulla lista dei Paesi sicuri confidiamo che si possano vedere i risultati», ragiona il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, lanciando una frecciata ai tribunali italiani che hanno sollevato la questione dinanzi alla Corte di giustizia europea: «Quando ci sono pronunciamenti ispirati da posizioni ideologiche, poco meditati – incalza il ministro – non si fa bene alla credibilità dell’istituzione».