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 2025  maggio 21 Mercoledì calendario

Intervista esclusiva a Giorgio Armani: «I social? Spesso sono solo una messa in scena»

Giorgio Armani è un uomo del presente. Non si è mai perso nella nostalgia per il passato. Il che non vuol dire rifiutare tradizioni e tecniche artigianali: il 21 maggio inaugura a Milano, nel suo Silos, la mostra dedicata ai vent’anni della sua collezione d’alta moda Armani Privé, massima espressione della moda “fatta a mano”, senza scorciatoie tecnologiche. Ma la natura di Armani resta contemporanea: per questo vale la pena discutere con lui di progresso e tecnologia, e di come abbiano cambiato la sua vita, il suo brand e tutto il sistema moda. Questa intervista esclusiva, in equilibrio tra fattore umano e curiosità digitale, è il modo migliore per inaugurare il nuovo sito di d.
Signor Armani, iniziamo dallo smartphone: quanto e come lo usa?
«Lo uso solo per telefonare, e ogni tanto mi diverto a fare qualche video chiamata. Di certo le connessioni con le persone sono più veloci e facili. Ma c’è sempre il rovescio della medaglia: penso per esempio alla continua tracciabilità e alla dipendenza da certi strumenti che si crea. Il cellulare oggi è un’estensione, addirittura un’integrazione, del corpo, tanto che lo si porta con sé ovunque».
Lei come combatte questa simbiosi?
«Non amo che sia sulla tavola quando si cena, o quando si è in riunione. Trovo che sia un elemento di disturbo, che non favorisce l’attenzione. Occorre, come in tutte le cose, porre dei confini».
Si ricorda quando sono entrati i computer nel suo ufficio?
«Lo ricordo benissimo: i primi li acquistammo verso la fine degli anni Ottanta. Fino ad allora tutto veniva scritto a macchina e per le comunicazioni a distanza si usava il fax: ne ricordo ancora il classico rumore e il fischio finale».
Che rapporto aveva inizialmente con i pc? Diffidente, sospettoso? Incuriosito?
«Sono sempre stato consapevole dei vantaggi, ma con uno sguardo un po’ critico. Ho sempre un po’ temuto gli effetti del suo dilagare. Perciò direi che, a volte è stato proprio una sfida».
Web e social media hanno cambiato il suo mestiere?
«Grazie a loro il nostro lavoro, intendo di noi designer, viene mostrato in maniera immediata e globale. Noi stessi oramai siamo parte della cultura popolare, e per quel che mi riguarda, hanno favorito il rapporto diretto con il mio pubblico. Ma la facilità e la velocità dell’esposizione spinge qualcuno a creare abiti belli solo da vedere, e a concentrarsi sull’effetto “wow” per catturare l’attenzione a tutti i costi. A scapito della sostanza».
Questo a livello pratico. E a livello concettuale?
«È certamente più complesso: ci si deve confrontare con una gigantesca macchina mediatica, e occorre essere molto reattivi. E se la tecnologia può essere di grande aiuto in fase progettuale, non potrà mai sostituirsi alla creatività umana».
Pregi e difetti dei social media.
«Un pregio: ha avvicinato le persone in modi un tempo impensabili. Un difetto: questo avvicinamento spesso è soltanto una messa in scena. Tutto rimane sulla superficie, creando per di più una sorta di distacco dalla realtà».
Il boom dei social media, in particolar modo di Instagram, ha portato anche al successo di molti account che pubblicano foto di moda del passato. Lei è uno dei più citati. Come vede questo boom “vintage” su una piattaforma così tecnologicamente avanzata?
«Lo vedo come una ricerca di autenticità, che spesso si può trovare solo nel passato. In generale, trovo che la nostalgia appartenga un po’ a questi nostri tempi, tesi alla ricerca di qualcosa di vero e duraturo invece che volatile e incerto».
Quando nel 2015 ha inaugurato il Silos, il suo spazio espositivo a Milano, ha voluto integrare da subito la tecnologia nella struttura: per esempio, permettendo ai visitatori di consultare tutti i suoi bozzetti digitalmente. Ha previsto qualcosa di simile nella mostra per i vent’anni del Privé?
«L’archivio è sempre fruibile, ma la mostra è incentrata sull’abito come realizzazione concreta e tangibile, non virtuale. È una mostra pensata per avvicinare le persone ad abiti generalmente visti da vicino solo da un pubblico molto ristretto».
Appunto, la couture è un mondo piccolo, per pochissimi. Come si concilia con la vastità del digitale?
«Si concilia condividendo con tutti quanto destinato a pochi. A tale proposito, sa che fui il primo, nel gennaio 2007, a trasmettere su Internet, in diretta da Parigi, la sfilata di una collezione? Ed era proprio un Armani Privé.  Una bella soddisfazione».
Selezionando gli abiti per la mostra e studiandone l’allestimento, ha valutato come risulteranno visti da uno schermo?
«L’allestimento deve emozionare in primis chi la sta visitando, perché la mostra nasce per essere vista di persona. Poi, naturalmente, l’attenzione maniacale alla luce e a ogni dettaglio, la stessa che ho quando lavoro alle sfilate, emerge anche nelle foto e nei video».
Una delle grandi rivoluzioni degli ultimi anni è l’e-commerce. Lei fa shopping online?
«Preferisco ancora l’acquisto di persona. Mi piace vedere gli oggetti, toccarli e provarli, prima di comprarli. Lo shopping online è utile, ma il negozio fisico ha e avrà sempre un ruolo fondamentale, è il luogo – insostituibile – in cui immergersi nel lifestyle del marchio».

Quanto segue i suoi profili social?
«Sono gestiti naturalmente dai miei collaboratori. Ogni sei mesi ricevo un resoconto sul loro andamento, e devo dire che ogni volta mi sorprendo per le dimostrazioni di affetto che ricevo, pur non esponendomi in prima persona».
Ogni mattina la prima cosa che fa è leggere i quotidiani: ha aggiunto anche l’online?
«Leggo abitualmente i quotidiani cartacei. Penso che la vera e più ampia informazione si riesca ad averla dai giornali e dai telegiornali».
E perché?
«Non sono condizionati dall’algoritmo, che alla fine seleziona al tuo posto e che ti mostra solo ciò che già sai o vuoi sapere».
Un’ultima domanda. La cosa che funziona di più online, da sempre, sono i video di gatti. Secondo lei, da appassionato di felini qual è, perché succede?
«Perché i gatti sono creature meravigliose, eleganti e intelligentissime. Li si può solo amare».