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 2025  maggio 21 Mercoledì calendario

Gaza, chi c’è dietro la misteriosa ong cui Netanyahu ha affidato la distribuzione degli aiuti

Decine di uomini in abiti di foggia militare color kaki arrivano da qualche giorno all’aeroporto di Tel Aviv. Sono soldati mercenari, agenti di servizi di sicurezza privati, ex-membri di forze speciali. Li ha assunti una poco nota fondazione svizzera, la Gaza Humanitarian Foundation, a cui Israele, con il sostegno dell’amministrazione Trump, ha deciso di affidare la distribuzione di tutti gli aiuti umanitari, il cibo, i medicinali, ai due milioni di palestinesi della Striscia, suscitando sdegno, accuse e proteste internazionali per il rifiuto di permettere all’Onu di continuare ad avere il ruolo che ha sempre avuto nella regione. Cos’è questo misterioso gruppo elvetico? E chi c’è dietro?
Il Financial Times ha provato a rispondere a questi interrogativi. La motivazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è che gli aiuti distribuiti dall’Onu finivano in mano ad Hamas invece che alla popolazione civile di Gaza, con il risultato di rafforzare i militanti islamici che il suo governo vuole invece distruggere: perciò lo Stato ebraico ha impedito da marzo l’ingresso dei circa 500 camion di aiuti che entravano quotidianamente nella Striscia con il programma delle Nazioni Unite. Da allora, i palestinesi di Gaza non ricevono più niente dall’esterno e ora, secondo il Palazzo di vetro e ong umanitarie, sono sull’orlo della carestia di massa.
Negli ultimi giorni Netanyahu ha annunciato il nuovo piano, che prevede la distribuzione degli aiuti attraverso una società privata, in aree designate e sotto lo stretto controllo dell’esercito israeliano, “per fare in modo che l’assistenza arrivi alla popolazione, non ad Hamas”. Una frase del premier israeliano ha scatenato le proteste indignate dei governi di Gran Bretagna, Francia, Canada, oltre che dell’Unione Europea: “Se non mandiamo aiuti, il mondo non ci sosterrà”, dando l’impressione che l’iniziativa serva a evitare proteste più che a sfamare una popolazione disperata.
Il programma iniziale prevede l’ingresso di 5 camion al giorno (finora ne sarebbero entrati in tutto 90), “una foglia di fico, una goccia nell’oceano” la definisce l’Onu, giudicandolo totalmente insufficiente, e comunque la distribuzione è ancora parziale, a singhiozzo. Israele promette che sarà pienamente in funzione entro fine mese. I mercenari che atterrano a Tel Aviv avranno il compito di guidare e sorvegliare i camion nel tragitto dallo Stato ebraico a Gaza e ritorno.
La Gaza Humanitarian Foundation afferma che distribuirà 300 milioni di pasti nei primi tre mesi del programma a un costo di 1 dollaro e 30 centesimi a pasto, incluse le spese per le guardie private. Ma chi paga?
Una fonte della fondazione svizzera, interpellata dal quotidiano della City, dice che donatori privati si sono già impegnati a versare 100 milioni di dollari al progetto, ma non ne nomina neanche uno. Altre tre persone a conoscenza del piano affermano che al momento nessun donatore straniero ha versato un dollaro. “Non è chiaro chi finanzi la Gaza Humanitarian Foundation”, scrive il Financial Times. Altre indiscrezioni indicano che l’ex-premier laburista britannico Tony Blair è stato consultato ed è intervenuto tramite il suo istituto di studi politici per ricevere consigli da David Beasley, ex-direttore del World Food Program, con il quale vinse un premio Nobel per la pace. Beasley, ex-governatore della South Carolina è citato nei documenti della fondazione svizzera come un “possibile” membro del Consiglio di amministrazione, ma non ha confermato né smentito la sua posizione con il giornale londinese.
Un altro citato come consigliere d’amministrazione, Nate Mook, ex-presidente della ong World Food Kitchen, ha smentito la notizia e rifiutato ogni commento in merito. E anche Blair ha negato di avere avuto un ruolo formale nell’iniziativa.
La struttura organizzativa della Gaza Humanitarian Foundation rimane opaca, prestandosi a interpretazioni di ogni tipo.
Tra le società sue affiliate ce n’è una creata in febbraio da un cittadino armeno con nessun precedente nel campo umanitario e un’altra di proprietà di un americano. Due società americane, Safe Reach Solutions e Ug Solutions, si occupano del mantenimento dei check-point a Gaza che saranno necessari alla distribuzione degli aiuti. E il direttore esecutivo della fondazione, l’americano Jake Wood, è un ex-Marine che in passato ha guidato l’agenzia di soccorsi umanitari Team Rubicon. Il mistero rimane. E il Rubicone degli aiuti a Gaza, frattanto, non è stato ancora attraversato.