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 2025  maggio 21 Mercoledì calendario

Quella strana idiozia di noi americani in vacanza in Italia

È dura, essere un idiota.
Non è che io lo sia sempre stato. Per cinquant’anni, ho letto, studiato, lavorato per diventare un romanziere degno di considerazione nel mondo anglofono. Da un certo punto in poi ho insegnato, parlato in pubblico, vinto premi; in aggiunta, mi piace pensare a me stesso come a uno che si invita volentieri a cena: uno che si interessa agli altri invitati e racconta di sé, e intanto arricchisce la propria comprensione del mondo. Realizzato, di buone letture, curioso: insomma, potevo contare su tutte le normali manifestazioni di intelligenza.
E in Italia, invece, io mi ritrovo a essere un idiota. E questo perché, venendoci, ho rinunciato ai più prezioso dei miei averi: la mia lingua. Moltissimi parlano una seconda lingua. Probabilmente la mia, l’inglese. E probabilmente anche una terza. Francese, spagnolo, giapponese. Per cui, eccomi qui davanti a voi, nella mia piccolezza, a raccontarvi cose che già sapete. Solo che queste cose io non le sapevo. Pensavo che imparare una nuova lingua sarebbe stato come aggiungere un’ala a un edificio nella quale spostarsi quando lo si desidera, magari per immergersi nella vasca a idromassaggio.
Ma non è così. Invece, è come uscire armati di assi e chiodi e mettersi a costruire una nuova casa tentando nello stesso tempo di viverci dentro. Piove dal soffitto. Niente bagni, né vasche a idromassaggio. Una follia. Perché quando impari – mettendola in pratica nella vita vera – una nuova lingua, sei un idiota. Ascoltatemi. Sono un quarantenne alla recita della scuola materna. Ho scritto questa cosa in inglese e me l’hanno tradotta. Quasi non conosco le parole che in questo momento sto pronunciando. Per quel che posso sapere, la mia traduttrice può aver aggiunto a questo testo qualcosa solo per farmi sembrare stupido. Brava. Ben mi sta. È giusto che io lo sembri: lo sono!
Dovete sapere che in realtà (a differenza di quanto si pensa) gli americani a scuola una seconda lingua la studiano. Il problema è geografico. Per un americano, imparare il francese o il tedesco o l’italiano ha la stessa utilità che imparare l’antico aramaico, perché questa lingua straniera non la parliamo mai. Noi quasi non usciamo dal Paese; metà degli americani non ha neanche il passaporto. Cresciamo parlando una lingua globalmente onnipresente; e cresciamo nel continente nordamericano, dove l’inglese è talmente conformista che puoi andare dall’Atlantico al Pacifico senza mai incontrare qualcuno che lo parli anche solo con un diverso accento. Questo ci impigrisce. Ci rende arroganti, come forse avrete notato. Soddisfatti di noi stessi. Inclini a guardare dall’alto in basso. Privi di curiosità in maniera piuttosto rimarchevole sul resto del mondo. E ci porta a eleggere a presidenti altri idioti. E noi scambiamo quest’ignoranza – perché di questo si tratta: ignoranza – per intelligenza!
È la stessa cosa che succede agli uomini di mezza età come me. Siamo guidati dal nostro orgoglio. Impariamo giusto quel tanto che basta per sentirci furbi e capaci, e poi – invece di aprirci a incontrare il mondo – ci rattrappiamo nel nostro ego. Ci mischiamo solo con persone simili a noi. Che condividono le nostre idee politiche, le nostre opinioni, e così ci sentiamo i migliori. Vivere così è molto gratificante. E molto stupido.
È la stessa cosa che succede, temo, agli scrittori. Alla mia età, la maggior parte degli scrittori ha coltivato con cura un’aura di sofisticata intelligenza. Abbiamo scelto una forma d’arte che ci permette di correggere ogni errore prima che qualcuno legga le nostre parole. Quindi, non solo ogni frase esprime esattamente quello che intendiamo, ma è anche meglio di come mai l’avremmo formulata di primo acchito. Sembriamo geniali.
Avete presente tutte quelle cose che avreste voluto dire e che vi vengono in mente solo mentre state già scendendo le scale dopo una festa? Noi le possiamo dire. O le parole giuste per trattenere un amante che vuole lasciarci? Noi regaliamo ai nostri personaggi quell’occasione che nella vita non capita mai. Loro sì riescono a trattenere i loro amanti. Hanno la meglio nelle discussioni. Ci è concesso il lusso del tempo per esprimerci al meglio, filosoficamente e intellettualmente: anni e anni di tempo.
Sulla pagina, sembriamo intelligenti. Ma è un’illusione che abbiamo creato, proprio per sembrarlo molto, molto di più di quel che siamo. Normalmente, è così che apparirei io. In quella forma costruita, perfezionata con cura. Ma non oggi. In italiano, per quanto bene io capisca una conversazione durante una cena, per quanto io sia in grado di annuire e fare una battuta, basta che io mi assenti un momento per andare in bagno e quando torno, puf, è tutto svanito. Riprendo posto a tavola ed è come se io avessi perso il segno, e non c’è nessuno che mi spieghi. Magari adesso si parla di una popstar romana degli anni Settanta. O magari di un politico di destra o di sinistra. O magari di una salsiccia calabrese. Non lo saprò mai, perché ho perso il treno della conversazione, e per altri dieci o quindici minuti non ne passerà un altro; e questi treni non sono mai puntuali. E allora io aspetto e sorrido. Come un idiota.
È interessante, essere un idiota. È la sfida più grande della mia vita. E la più grande gioia. Innamorarmi e cambiare me stesso, per riuscire a stare dentro a questa nuova avventura del cuore. Spogliarsi della personalità e dello stile di conversazione editati con cura per una vita, e diventare una persona nuova. Una persona che, invece di essere l’americano arrogante che se ne sta muto in un angolo a guardare il cellulare, diventa il buffone che sforna battute che nessuno capisce. Che fa virare la conversazione verso il cibo perché solo di quello conosce il vocabolario. Che sembra vivere sempre nell’attimo presente, perché dei verbi non conosce né il passato né il futuro. Che ha il terrore di pronunciare la parola “fig”. Che parla con l’accento di un personaggio di una pubblicità del tè freddo Lipton di Chattanooga, Tennessee. Che non riesce a pronunciare “gioielliere”. Che è diventato lo straniero insicuro, comico, stupefatto, curioso, socievole che avete davanti. Sempre con gli occhi sgranati, che infila un errore dietro l’altro e ride di se stesso.
Un uomo innamorato dell’italiano. E un uomo innamorato, che cosa non farebbe? Poter ancora cambiare alla mia età è una cosa meravigliosa. E meraviglioso è essere un idiota.