la Repubblica, 21 maggio 2025
Francesca Inaudi, attrice e doula: “Aiuto le madri a sentirsi meno sole. È la mia rivoluzione”
«Non c’è nulla di sbagliato nel raccontare i lati oscuri della maternità e non toglie nulla alla bellezza di quell’esperienza così travolgente nella quale una donna muore a sé stessa e rinasce madre. Ma nessuno lo fa, eppure ci siamo passate in tante. Per questo ora vorrei aiutare altre donne».
Seduta dal parrucchiere, il giorno prima di iniziare a girare a Verona Amici comuni di Marco Castaldi con Raoul Bova, Beatrice Arnera e Luca Vecchi, l’attrice Francesca Inaudi parla di sé, di traumi e rivoluzioni, di depressioni e scoperte senza smettere di sorridere quasi mai. «Il lavandino da parrucchiere deve averlo inventato un uomo. Vediamo quanto riesco a parlare messa così», esordisce. Parlerà per più di un’ora.
Francesca, su Instagram e in casa sua ora è appeso un certificato. Dice: “Doula”. Cosa significa?
«La doula è una figura non medica riconosciuta per legge che accompagna con un supporto emotivo, pratico, fisico, di cura e incoraggiamento la donna nella gravidanza, nel travaglio e dopo il parto. E si dedica totalmente a lei, e al partner. È quella a cui chiedere tutto quello che avresti voluto sapere sulla maternità e non hai mai avuto il coraggio o la voglia di domandare a mamma, a una sorella, a un’amica. Una persona neutra che non giudica, non sceglie al tuo posto, ma ti guida senza farti sentire in colpa o sbagliata».
Perché lei è diventata una doula?
«Perché vorrei tanto averne avuta una. Invece per ignoranza, perché come sempre pensavo “faccio da sola” ho rinunciato. Ma la mia gravidanza, il mio parto mi hanno portato qui, a provare a mettermi al servizio di altre donne».
Lei è rimasta incinta a 42 anni. Com’è stato?
«Dicono fossi vecchia per un primo figlio che volevo tantissimo, ma la gravidanza è andata benissimo dal punto di vista fisico. I primi tre mesi però ho avuto una forte depressione, poi ho capito che era la botta emotiva. Al quarto mese ho subito una molestia durante un massaggio e anche questo mi ha provocato ansie e paure, pure se sono figlia di un ginecologo. Il parto è stato un trauma».
Perché un trauma?
«Alla 37esima settimana mio figlio era podalico, ero in America, mi hanno terrorizzato, hanno fatto manovre, agopuntura, esercizi a testa in giù. Il cordone ombelicale si è attorcigliato al collo, mio figlio ha perso il battito, mi hanno lanciata in sala operatoria per un cesareo d’urgenza, ho fatto in tempo a pensare “ci vediamo dall’altra parte”, lui è uscito blu. Ora ha 5 anni, sta benissimo, ma io mi sono addormentata nel momento più brutto della mia vita e mi sono risvegliata nel più bello. Ne ho sofferto anche nel post parto, per settimane ho sognato di morire annegata».
Per questo ha tanto interesse a parlare di quelli che lei chiama i lati oscuri della maternità?
«Perché nessuno, o quasi, ne ha il coraggio. C’è una narrazione che ci vuole sorridenti, eroine o martiri, a dire che tutto è stupendo. Invece possono esserci momenti mostruosi e questo nulla leva alla perfezione di una rivoluzione come la maternità. Ma esistono le ragadi, gli ingorghi, le posizioni innaturali in cui ci mettono, le pressioni psicologiche e le cicatrici. La mia la chiamo “il mio sorriso” perché da lì è spuntato mio figlio. Ma mi è mancata tanta informazione, educazione, consapevolezza».
Ha mai pensato “non ce la faccio”?
«Sono andata nel panico all’inizio dell’allattamento eppure ero determinatissima. I momenti più duri sono stati quelli in cui sentivo la mancanza di una persona che mi spiegasse, mi sostenesse, mi dicesse “ci sono passata”, che facesse capire al mio compagno che quel che vivevo era reale».
Così è nata l’idea della “luna storta” per aiutare altre donne?
«All’inizio pensavo a un sito dove una donna incinta potesse trovare testimonianze di altre donne che la facessero sentire capita, accolta. Ora cerco un posto fisico per creare un “club delle mamme” tutt’altro che elitario dove incontrarsi, bere una tisana, trovare professionisti, raccontarsi. Un luogo di condivisione più che di apprendimento senza cattedre né giudizi. Per me è un atto politico».
Perché politico?
«Perché credo che dobbiamo riprendere il controllo del nostro corpo, il potere di scelta, smettere di rimuovere, di negare, reclamare un ruolo per quel che siamo e non vestendo panni maschili, vivere la gravidanza e la nascita come un momento straordinario e devastante, splendido e terrificante, comunque trasformativo in cui al centro ci siamo noi donne».
In questa trasformazione è cambiata anche lei come attrice?
«Ho acquisito una ferocia che non avevo, non scendo a compromessi facilmente, cose che vivevo come dramma mi fanno ridere. Diventare madre cambia scala a tutto il resto».
Continuerà e farà anche la doula?
«È difficile spostare la mia identità perché per gli altri sono “Francesca Inaudi attrice” e sono appassionata del mio lavoro. Ma se potessi ora farei solo nascere bambini».