La Stampa, 21 maggio 2025
Valeria Golino: “Vedo le giovani più libere, e io che pensavo di essere una ragazzaccia”
«Vorrei un po’ di proteine». Segue breve scambio con l’azzimato cameriere, poi arriva un bel piatto di pasta, carboidrati a volontà, e Valeria Golino lo affronta con un sorriso. È il grande giorno di Fuori, il nuovo film di Mario Martone, ieri in gara al Festival (e da domani nei cinema), in cui l’attrice interpreta Goliarda Sapienza, la scrittrice con cui, dopo aver diretto L’arte della Gioia, ha ormai stabilito un patto di intima solidarietà: «Nella complessa insensatezza delle nostre vite, arrivano, ogni tanto, dei segni. Ho conosciuto Goliarda a 18 anni, poi ho deciso di prendere in mano il suo romanzo e di dirigere la serie, dopo ho girato questo film. Mi sono immersa nella sua poetica, nel suo pensiero, nelle sue contraddizioni e nella sua spregiudicatezza, ho imparato tantissimo». Nel mondo di Sapienza si respira libertà e anche Martone racconta di aver vissuto questa vertigine di autonomia, sospesa «tra realtà e immaginazione»: «Fuori – dice il regista – mi ha permesso di muovermi senza costrizioni, di lasciarmi andare alla deriva anch’io, portato dal vento di Goliarda Sapienza e delle donne protagoniste di questo film».
Com’era il rapporto tra Golino diciottenne e Sapienza già scrittrice?
«Ero una ragazzina, mi ero fidanzata con il regista Peter Del Monte che aveva 43 anni, stavo sempre con gente più grande di me, ho avuto la fortuna di incontrare presto dei maestri, Scola, Maselli, Wertmüller, Bertolucci. Ero molto interessata a quello che dicevano, sempre in ascolto, ma ero anche molto indipendente e attirata da tante altre cose, quindi spesso andavo altrove. All’epoca Goliarda mi sembrava una signora parecchio strana, molto diretta e molto curiosa di me, molto di più di quanto non lo fossi io di lei».
In che cosa consiste la modernità di Goliarda Sapienza?
«Penso che anche oggi Goliarda sia più avanti di noi, forse non siamo ancora arrivati a quel tipo di indipendenza. Era una persona che metteva in pratica il diritto di contraddirsi, di cambiare idea, di non essere mai ideologica. Non aveva fede ottusa né nel pensiero degli altri, né tantomeno nel suo. Cedo che questo ci riguardi tutti e che ancora adesso Goliarda potrebbe scardinare le ideologie che stanno tornando a formarsi. Se ci fosse, sarebbe molto arrabbiata».
Nel film Sapienza stringe nuove amicizie e vive una forte attrazione per Roberta (Matilda De Angelis).
«Goliarda era ufficialmente eterosessuale, amava gli uomini, era nata nel 1924 ed era stata sposata due volte, aveva in sé rimasugli del vecchio mondo, delle regole del gioco che avevano a che vedere con il patriarcato... Eppure suo marito aveva 22 anni in meno di lei e questo, in quell’epoca, anche nei salotti cattocomunisti di sinistra, non era una scelta ben vista. Forse per molto tempo aveva sublimato il suo amore per le donne in una chiave spirituale. Con Roberta succede, come lei stessa scrive, che il suo erotismo si accenda in maniera diversa e coinvolga una donna».
Com’è andata con De Angelis e Elodie sul set, cosa ha imparato, cosa vi siete scambiate?
«Ho imparato che lo scarto generazionale significa qualcosa, che loro sono diverse da me, sono molto più naturalmente libere di come sono io, prive di qualunque paura nel rappresentarsi. Ho sempre pensato di essere una ragazzaccia, ma ho capito che, nella loro giovinezza, c’è qualcosa in più, che io non avevo».
Come definirebbe questa fase della sua vita?
«Lotto contro l’idea della soddisfazione, perché penso che la soddisfazione sia un sentimento arido, che non porta da nessuna parte. Sono contenta del mio film e di questo che, finora, mi sta riempiendo di emozioni. Tutto mi spingerebbe a ritenermi appagata, e invece io sono ancora lì, non voglio sentirmi definita, risolta, anche se avrei l’età per poterlo fare».
Al secondo giorno di Cannes è arrivata la notizia della condanna di Depardieu. Che cosa ne pensa?
«Mi dispiace molto, ho fatto tre film con lui, penso che sia un attore monumentale, il più bravo della seconda metà del Novecento in Francia, un uomo che, con me, è sempre stato gentilissimo. La mia esperienza con lui è solo bella. Poi, naturalmente, io non so come siano andate le cose, quindi non voglio mettermi a giudicare, dire “dovevano fare così o colì”. Penso che mi dispiace, questo sì, perché con Depardieu ho avuto un rapporto stupendo, è un attore, ma è anche un poeta e tante altre cose...».
A che punto è, in Italia, la questione femminile?
«Da noi c’è meno veemenza nel sostenere certe questioni. Non c’è la stessa tensione sociale che c’è in Francia, forse anche perché siamo più anarchici nel modo di vedere la vita. La cosa importante è che si arrivi alla parità di genere nei diritti civili, quello sì, è il punto che mi preme di più e che continuo a sostenere. In quel campo si può legiferare e bisogna farlo. Più difficile, invece, entrare nel merito dei rapporti tra uomo e donna».
Cioè?
«La differenza tra uno stupratore e un uomo che fa avances fastidiose, esiste. Le persone vanno trattate in modo diverso, nei comportamenti degli esseri umani ci sono troppe nuances per poter essere considerati tutti allo stesso modo».
Ha firmato l’appello di attori e registi al ministro Giuli per far uscire il nostro cinema dallo stallo. Come vede la situazione?
«Siamo firmatari di una lettera che fa domande legittime, abbiamo il massimo rispetto delle istituzioni, la nostra richiesta è di essere ascoltati oltre che ascoltare, non è sgradevole o gradevole chiedere attenzione per i nostri problemi, vogliamo solo un normale confronto. Bisogna smettere di inquadrare tutto in gabbie politiche».