La Stampa, 21 maggio 2025
Fiorello e la risata sostenibile
La “Pennicanza” si muove sonnolenta all’ora della siesta, ed è il nuovo programma radiofonico di Fiorello anche se è sempre lui, in purezza.
Cambia il titolo, non il genere: quel nonsense che segue le tracce della commedia italiana e ci resta attaccato, quasi vincolato, in una tradizione di cui Fiorello è un meraviglioso interprete, con tempi sublimi e la capacità di vivere lontano dai copioni senza mai cambiare registro. Con una verve che in certe uscite rincuora e in altre evapora.
Non è di per sé un male, è una variante della leggerezza: girare intorno a una serie di apparenti inutilità per poi infilarci la critica sui palinsesti riempiti a repliche, la satira sul tax credit del cinema, la poesia di Adam Bodor, che lui non si sogna certo di declamare, lascia che il nome galleggi mentre ne fa la parodia con l’elenco dei supermercati. E si passa alla chicca vintage con il recupero di un Dalla e De Gregori raro, quel patrimonio di cui la Rai è detentrice assoluta. Ci sono i soliti ingredienti perché funzionano, nel nome di chi li ha raffinati e bilanciati al meglio.
È la consacrazione della supercazzola, pure citata, è la capacità di sfottere e strattonare la Rai pur abitandoci dentro. È ripetere «referendum» in un ritornello discolo, è descriversi meloniano perché se esiste Tele Meloni lui sa starci dentro: da finto raccomandato e senza compromessi. Se nulla ha un peso tutto si può contestare.
Ecco, Fiorello funziona in assenza di gravità, in una dimensione che ha ripreso dal modello «Amici Miei» e poi manipolato, calibrato, assestato, parzialmente aggiornato, solo che ora siamo in quella zona rarefatta che combacia quasi con la nostalgia. Lui è tornato, dopo un anno, con Biggio, la spalla che già lo aveva sostenuto in passato, ha riattivato una serie di codici che intercettano un’esigenza più che un pubblico specifico: una particolare risata. Fiorello è l’interprete di un battutismo sostenibile, non è il comico che parte e affonda, lui divaga e poi torna sull’argomento per poi allontanarsi ancora. Canta. Chiama persone note al telefono e finge di sollecitarne altre che imita.
Ogni sferzata invece di colpire resta sospesa, nella bolla del pisolino, nel marasma di parole. Chissà che accade quando l’ironia scoppia e ritrova il corpo con cui centrare il bersaglio. Chissà se accade o invece Fiorello continua a girovagare e stuzzicare con l’arte di lasciare le parole nell’aria.
Uno stile, ereditato da un filone di altissimo livello, non più così tanto frequentato proprio perché a un certo punto il sarcasmo galleggiante cerca sfogo. Fiorello per ora lo domina, con la risata sostenibile che ondeggia e avvolge nell’ora in cui il metabolismo rallenta.
Magari ogni tanto la testa cade, solo che sembra quasi parte del piano.