Corriere della Sera, 20 maggio 2025
Api in pericolo: cosa le sta uccidendo e perché è una minaccia per noi
Almeno una volta all’anno, nella giornata delle api, il 20 maggio, ricordiamoci di questi piccoli insetti che, con noncuranza stiamo uccidendo. Ricordiamoci che è il loro lavoro silenzioso a garantire da sempre la sicurezza alimentare e il funzionamento dell’ecosistema. Per fare il frutto ci vuole il fiore, ma senza impollinazione non ci sarebbero mele, albicocche, ciliegie, mirtilli, ribes, lamponi, pesche, pere, susine, fragole, kiwi, agrumi, mandorle, meloni, cetrioli, zucche, zucchine, pomodori, peperoni e melanzane. Lo stesso vale per le leguminose: fagioli, fagiolini, fave, ceci, lenticchie. Persino il foraggio, come l’erba medica e il trifoglio, non esisterebbe senza gli impollinatori.
La moria degli impollinatori
Il 75% delle colture agrarie dipende da insetti specializzati nel trasporto del polline dagli stami (organi maschili) ai pistilli (organi femminili) dei fiori. È una squadra numerosissima composta da farfalle, coleotteri, bombi, ma soprattutto api. Nel mondo se ne contano circa 20.000 specie, oltre 1.000 solo in Italia. La più efficiente, per capacità organizzativa e produttività, è l’ape da miele. Le api di un singolo alveare possono visitare dai 3 ai 20 miliardi di fiori in un anno, coprendo un’area fino a 30 chilometri quadrati attorno agli alveari, dalla primavera all’autunno.
Il valore economico di questo servizio naturale è enorme: circa 153 miliardi di euro all’anno a livello globale, di cui 22 miliardi in Europa e 2-3 miliardi in Italia (fonte: Ispra). Una popolazione vitale che, purtroppo, sta diminuendo. Dal 2015 a oggi, il Centro di referenza nazionale per l’Apicoltura, che fa capo all’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, a Legnaro (Padova), ha ricevuto 914 segnalazioni di apiari colpiti da morie fino al 50%. Visto che un apiario ospita in media 10 alveari, e che un singolo alveare può contenere all’incirca 60.000 api, la perdita oscilla fra i 165 milioni e 500 milioni di api. Un dato ampiamente sottostimato perché pochi apicoltori segnalano, infatti il dato riguarda meno dell’1% degli apiari presenti in Italia, nonostante dal 2022 sia in vigore l’obbligo di registrare nel Sistema identificazione e registrazione (I&R) le morie di api. Ma qual è la causa? Siamo andati a fondo con l’aiuto dell’Istituto Mario Negri, Ispra e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea).
Scarso nutrimento
La prima ragione è dovuta a una carenza di risorse alimentari che provoca un indebolimento generale delle api, che a sua volta compromette la loro capacità di produrre miele e allevare le larve. Una delle cause principali della difficoltà a trovare cibo è il cambiamento climatico: le piante possono fiorire in anticipo o in ritardo, verificarsi gelate improvvise, piogge intense o lunghi periodi di siccità possono danneggiare o annullare del tutto la fioritura. Così, quando gli impollinatori sono attivi, spesso non trovano né polline né nettare a sufficienza per svolgere le loro funzioni vitali, riprodursi e garantire il ricambio generazionale. A questo si aggiunge la diffusione di nuove varietà autofertili, come quelle di girasole e di erba medica, selezionate per l’elevata produttività. Si tratta di varietà che non hanno bisogno di impollinatori per produrre frutti o semi, ma nella maggior parte dei casi non forniscono nemmeno nettare e polline agli insetti. E gli agricoltori nemmeno lo sanno che quelle sementi non sono in grado di sostenere gli impollinatori, perché a livello industriale sulle etichette non compare alcuna informazione specifica.
I pesticidi
La seconda ragione della moria di api sono i pesticidi. Le analisi di laboratorio effettuate sulle api morte rivelano in quasi la metà dei casi la presenza di principi attivi di fitofarmaci sia sui corpi che nel polline raccolto. Il loro uso massiccio è tipico dell’agricoltura intensiva. In Italia, su 12,5 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata (dati Istat), il 30,4% è occupato da agricoltura ad alta intensità, pari a circa 3,8 milioni di ettari (fonte: ultimo dato Ue 2021, indicatore «Farm input intensity» qui). Si tratta di vaste estensioni monocolturali come grano, mais o riso coltivate sempre sullo stesso terreno senza alcuna rotazione; frutteti con alberi disposti a distanza minima, o ortaggi seminati in file fitte. L’obiettivo è ottenere il massimo rendimento, ma questa sovrapproduzione richiede un uso crescente di agrofarmaci (fungicidi, insetticidi ed erbicidi) molto nocivi per gli insetti impollinatori. Inoltre, la diffusione dei concimi chimici provoca un progressivo deterioramento del suolo. E i terreni impoveriti richiedono ancora più fertilizzanti, diventano più vulnerabili a parassiti e malattie, innescando di conseguenza un ulteriore aumento di prodotti fitosanitari. É vero che le normative sull’uso dei pesticidi stanno diventando più rigorose, ma il loro impiego su larga scala ha un impatto diretto sulla vita delle api, e di conseguenza sull’equilibrio dell’intero ecosistema.
Le politiche Ue
La strategia europea «Farm to Fork» (Dal produttore al consumatore) raccomanda esplicitamente: «Ai metodi chimici devono essere preferiti metodi biologici sostenibili e altri approcci non chimici». E l’Unione Europea premia gli agricoltori che adottano pratiche agricole favorevoli agli impollinatori, principalmente attraverso il Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEAGA) e il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR). Nel periodo 2023-2027, sono a disposizione 218 milioni di euro per chi riduce l’uso di fitosanitari e favorisce la presenza di habitat per gli impollinatori. Solo nel 2023, questo intervento ha coinvolto oltre 62.000 ettari. Inoltre, l’UE destina 780 milioni di euro a chi non utilizza diserbanti chimici nei terreni dove cresce erba spontanea, con 1 milione di ettari supportati nel 2023. Sono previsti anche 819 milioni di euro per chi alterna le colture: nel 2023 coinvolti 3 milioni di ettari. Le piante che ricevono un’impollinazione efficiente e adeguata producono una maggiore quantità di frutti e di migliore qualità. Un altro intervento fondamentale per la salvaguardia degli impollinatori è rappresentato dall’agricoltura biologica, promossa dalla Ue con oltre 2 miliardi di euro di finanziamenti nel periodo 2023-2027. Nel solo 2023, i fondi europei hanno sostenuto 822.000 ettari coltivati con il metodo biologico.
La biodiversità a rischio
I dati mostrano un effettivo aumento delle coltivazioni più sostenibili, ma in un anno, su 44.500 tonnellate complessivamente immesse in commercio, vengono ancora utilizzate 19.580 tonnellate di principi attivi non consentiti per l’agricoltura biologica, si tratta cioè di sostanze chimiche più potenti e che minacciano la sopravvivenza delle api (qui). C’è anche un tema di prevenzione: durante la fioritura l’agricoltore chiede all’apicoltore di portare lì i suoi alveari, ma dovrebbe poi avvisarlo quando intende dare un certo prodotto, in modo che abbia tempo per portare via gli alveari. Chi lo fa? Praticamente nessuno.
Di fronte alla crescente perdita degli insetti impollinatori, l’industria pensa ai droni: macchine volanti capaci di rilasciare con estrema precisione – grazie alla guida attraverso Gps – la giusta quantità di polline sulle colture nel posto esatto. Ma quanti droni servirebbero per sostituire le api, che in un solo alveare visitano fino a 20 miliardi di fiori l’anno? Anche ammesso che la tecnologia possa arrivare a replicare l’efficienza biologica degli impollinatori naturali, quale sarebbe il prezzo finale? Certo, i droni non si stancano, non si avvelenano, non si ammalano, non muoiono. A morire però è la biodiversità, garante degli equilibri che regolano la vita sul pianeta. Sarebbe dunque una sconfitta culturale ed ecologica. Lo scrittore belga Maurice Maeterlinck, premio Nobel per la Letteratura nel 1911, scrisse nel suo capolavoro La vita delle api del 1901: «Si stima che più di centomila varietà di piante scomparirebbero se le api non le visitassero».