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 2025  maggio 20 Martedì calendario

Ma a destra la soluzione si trova

La più che trentennale esperienza del centrodestra insegna che non bisogna mai drammatizzare troppo le fratture che si aprono nella coalizione. In un’alleanza di potere, che riesce a sopravvivere a visioni diverse su temi basilari come la politica estera, il fisco, l’equilibrio dei conti dello Stato, e che basa il proprio collante soprattutto sulla spartizione di quote di governo e sottogoverno a ogni livello, è fisiologico che di tanto in tanto un partito che si ritiene insoddisfatto, o ritiene di rischiare in termini di consensi rispetto all’alleato maggiore della coalizione, si sganci per rinegoziare il prezzo della propria partecipazione. Ed è altrettanto conseguente che, se se ne sgancia uno, lo stesso faccia un altro.
Accadeva ai tempi di Berlusconi con Fini e accade adesso nei rapporti, ormai fin troppo logorati, tra Meloni e Salvini. La sensazione tuttavia è che la crisi che s’è aperta, prima alla regione Friuli Venezia Giulia, dove il governatore tra l’altro è il leghista Fedriga, e successivamente ieri in Consiglio dei ministri, in cui i membri leghisti del governo si sono rifiutati di sottoscrivere il ricorso alla Corte costituzionale sulla “leggina” per il terzo mandato approvata dalla provincia autonoma di Trento, alla quale quasi certamente sarebbe seguito un analogo provvedimento dello stesso Friuli, riguardi, non solo la premier e il suo riottoso vice, ma l’intero partito del Carroccio, che vede minacciato dalle pretese di Fratelli d’Italia il suo storico insediamento nordista. Perdere tutti o in parte i governatori di Lombardia, Veneto e Friuli, per parlare delle regioni che vanno verso la scadenza elettorale, significherebbe per la Lega imboccare il viale del tramonto nell’area del Paese in cui più forte è sempre stato la sua presenza.
E dove la possibilità per i candidati governatori di presentare i propri “listini” consolida la presenza nei consigli regionali – ormai apertamente insidiata dalla forte crescita di FdI anche al Nord – rendendola strategica. A fronte di tutto ciò Salvini sa di poter tirare la corda fino al limite oltre il quale Meloni potrebbe anche decidere di andare al voto anticipato additandolo – come fece Conte nel 2019 – come il responsabile dello sfascio. Non certo il miglior modo per presentarsi agli elettori.