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 2025  maggio 20 Martedì calendario

Intervista a Ursina Lardi

«Radicalità ed empatia»: con queste parole l’attore Willem Dafoe, direttore artistico della 53ma edizione di Biennale Teatro di Venezia al via il 31 maggio fino al 15 giugno, definisce la carriera di Ursina Lardi, Leone d’Argento 2025. L’attrice svizzera, 54 anni, è una delle personalità più importanti della scena teatrale di lingua tedesca: debutterà in prima italiana al Festival Internazionale del Teatro giovedì 12 giugno con Die Seherin (La veggente), di cui è autrice insieme al regista Milo Rau e riceverà il premio il 14 giugno. Lardi interpreta una fotografa di guerra che viaggia nelle aree di crisi del mondo alla ricerca di storie terrificanti. Sembra essere invulnerabile al dolore, ma quando è lei stessa a subire la violenza diventa una Cassandra, la veggente della mitologia greca, che cerca di combattere contro la cecità dei nostri tempi. Il nuovo spettacolo si basa sui racconti di fotografi di guerra, cittadini iracheni e sulle sue esperienze personali, tra cui l’incontro di Milo Rau a Mosul con l’insegnante Hassan Azad, a cui è stata tagliata una mano per punizione durante l’occupazione dello Stato Islamico.
In una Biennale Teatro che vedrà come Leone d’Oro Elizabeth Le-Compte e la partecipazione di personalità come Eugenio Barba e Julia Varley dell’Odin Teatret, Romeo Castellucci, Antonio Latella, Thomas Ostermeier e Milo Rau, Ursina Lardi viene premiata, perché «incarna le mille sfumature di un’epoca giunta al disperato tracollo e svela le possibilità di una resistenza non solo artistica, ma politica e umana». Formatasi a Berlino all’Accademia d’arte drammatica “Ernst Busch”, la multilingue Lardi dal 2012 è membro della compagnia del teatro Schaubühne am Lehniner Platz di Berlino, dove ha lavorato con i registi più importanti. Successi anche in tv e nel cinema fra cui Il nastro bianco di Michael Haneke, Palma d’oro a Cannes 2009.
Signora Lardi che emozione è ricevere il Leone d’Argento dalla Biennale Teatro di Venezia? E cosa ritiene sia stato premiato in particolare del suo lungo impegno artistico?
«Mi sento molto onorata e sì, sono orgogliosa di questo premio molto speciale. Sono molto contenta della dichiarazione del direttore artistico William Dafoe, che sottolinea i punti su cui sto lavorando. Parla di radicalità ed empatia e di come la mia immagine di attrice non sia quella di un fornitore di servizi, ma di un’artista autonoma. In questo senso, spero che il mio lavoro sia in grado di ispirare anche i colleghi».
Lei è cresciuta anche nella Svizzera Italiana. Come ha iniziato il suo percorso artistico?
«Sono cresciuta in parte in un villaggio di montagna al confine con la Valtellina, nella Svizzera italiana. Questo drammatico paesaggio alpino e il mio multilinguismo hanno avuto un grande impatto su di me. Credo di essermi sempre sentita un po’ ospite della scena culturale e di essere quindi riuscita a mantenere una sana distanza da essa nonostante il mio impegno».
Per la motivazione del premio recita che lei “sta connotando in chiave sempre più autorale la propria creatività di attrice”. Come lavora sui suoi personaggi?
«È diverso per ogni progetto. Con Milo, ad esempio, sono coinvolta nel processo di scrittura, accompagnando la creazione dello spettacolo fin dall’inizio. Ma anche se si tratta di un testo esistente, mi sento l’autrice del mio personaggio».
In che modo essere artisti e fare teatro oggi può essere un impegno “politico” e umano? Si parla sempre meno e con difficoltà del teatro, ma quale può essere il ruolo del teatro nel complesso mondo di oggi?
«Che terribile affermazione: “Si parla sempre meno e con difficoltà del teatro”. Ma purtroppo è vero, il teatro sta vivendo una grande perdita di importanza. Tuttavia, sono convinta che non possa essere ucciso. È una esperienza unica il fatto che ci sia una persona davanti a te che agisce mentre gli altri guardano. Basta così poco per fare teatro, si può fare ovunque. Questa idea è così semplice e così buona che non può essere uccisa! A prescindere dalla realtà politica in cui viviamo attualmente».
Ci racconti il suo personaggio e l’opera “La veggente” che mette al centro il doloroso tema della guerra, delle donne ma anche dell’informazione.
«Interpreto una fotografa di guerra: il testo è stato sviluppato a partire da molte interviste con fotografi di guerra e, naturalmente, a volte contiene tratti di me stessa. Il motivo centrale di Die Seherin sono le ferite – sia esterne che interne – che non possono guarire. Entro in dialogo con una persona che si vede in video, Azad Hassan, un uomo iracheno a cui è stata tagliata la mano destra durante gli anni di barbarie dell’Isis. Azad racconta la sua storia, come ha affrontato questa esperienza traumatica, mentre la fotografa di guerra racconta la sua esperienza di violenza, creando un incontro tra queste due persone molto diverse».
Lei è l’attrice di riferimento di grandi registi come Ostermeier, Castellucci, Rau e tanti altri. Come avviene il vostro scambio artistico?
«Ciò che ci unisce è la dedizione incondizionata alla nostra professione, questa è la base. Sono registi tutti molto diversi e ognuno si distingue a modo suo, ognuno con un approccio diverso alla propria arte. La cosa più importante è la fiducia reciproca, che rende possibile il dialogo. Questo dialogo è diverso per ognuno. Alcuni sono molto intellettuali, altri più intuitivi, uno pensa e lavora più con le immagini, l’altro con il linguaggio. Amo e coltivo i rapporti di lavoro che si sono sviluppati nel corso di molti anni; sono incredibilmente produttivi per tutte le persone coinvolte».
Ci racconti anche il suo rapporto con la televisione e col cinema, dove ha interpretato film di successo.
«Ho realizzato alcuni film meravigliosi e, purtroppo, anche alcuni un po’ banali. Questo per due motivi. Sono meno esigente con i film che con il teatro, perché occupano molto meno tempo e sono spesso molto ben pagati. Ma anche perché l’influenza di un attore nel cinema è minima. Ci sono così tante persone coinvolte nel prodotto che a volte i personaggi vengono distorti o tagliati in modo irriconoscibile o addirittura intere sceneggiature che avevano un grande potenziale vengono completamente rovinate».
Lei come si suddivide tra i tanti impegni fra teatro e cinema e il suo ruolo di madre?
«Ho un figlio adulto. Fortunatamente non ero sola, mio marito era in grado di occuparsi di molte cose perché poteva lavorare spesso da casa e mia madre era una nonna meravigliosa che passava molto tempo con mio figlio. Ma anche se sembra che io abbia lavorato molto, ho sempre fatto in modo di fare delle pause, di non perdermi mai nel lavoro e persino di dimenticare a volte di essere un’attrice».