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 2025  maggio 19 Lunedì calendario

Usa, così gli ultrà di Heritage Foundation hanno teorizzato l’eliminazione delle voci pro-Palestina

Nel 2023 l’Heritage Foundation, il think tank ultraconservatore americano noto per avere preparato il “Progetto 2025”, un piano per il secondo mandato di Donald Trump con l’obiettivo di espandere il potere presidenziale, considerato dai suoi critici una potenziale minaccia al restringimento delle libertà democratiche negli Stati Uniti, aveva formulato anche un altro controverso programma segreto, denominato “Progetto Esther”: un’iniziativa per smantellare rapidamente il movimento pro-palestinesi negli Usa, con l’obiettivo di spegnerne ogni voce nelle scuole, nelle università, nelle organizzazioni progressiste e in parlamento.
Ne parla un’inchiesta del New York Times, suffragata da dichiarazioni degli stessi dirigenti della Fondazione Heritage. Il mese scorso rappresentanti della fondazione si sono recati in Israele per discutere lo svolgimento del piano, incontrando fra gli altri il ministro degli Esteri e il ministro della Difesa israeliani, oltre a Mike Huckabee, l’ambasciatore americano nello Stato ebraico, scrive il quotidiano newyorchese. Il “Progetto Esther” mirava ad accusare di sostegno al terrorismo tutte le marce di protesta, le raccolte di firme e ogni genere di azione politica in America contro la guerra di Gaza, afferma l’articolo: “E quello che due anni fa sembrava un piano fantapolitico oggi pare in gran parte realizzato”.
Proclama al Times Victoria Coates, vicepresidente della Heritage Foundation ed ex-vicedirettrice della sicurezza nazionale nell’amministrazione Trump: “La fase in cui siamo ora è l’inizio dell’esecuzione di alcune delle linee guida del piano a livello legislativo, legale e finanziario”.
Nei primi quattro mesi del suo secondo mandato presidenziale, osserva il giornale, Trump ha autorizzato la sospensione di fondi a università accusate di antisemitismo, la revoca del visto, l’arresto e la deportazione di studenti che appoggiano i palestinesi, la rimozione di insegnanti per la medesima ragione, la censura di programmi scolastici giudicati filopalestinesi e il taglio di fondi a istituzioni e associazioni accusate di simpatie per i diritti dei palestinesi. L’intento del Progetto Esther, rivela il New York Times, era appunto quello di definire come antisemitismo, sostegno ad Hamas e associazione al terrorismo le manifestazioni di protesta contro la guerra di Gaza da parte del movimento propalestinese negli Stati Uniti.
Il traguardo fissato dal programma della Fondazione era di realizzare tutti questi obiettivi entro due anni. “Ebbene, i suoi dirigenti possono già compiere un primo giro della vittoria”, conclude il quotidiano. Commenta Robert Greenway, uno dei dirigenti dell’Heritage Foundation, co-autore del Progetto Esther: “Non sappiamo se l’amministrazione Trump ha usato il nostro piano come guida. Ma non è una coincidenza che noi abbiamo fatto appello a una serie di provvedimenti e queste misure ora vengono prese”.
Dichiara al Times Stefanie Fox, direttrice di Jewish Voice for Peace (Voce Ebraiche per la Pace), un gruppo descritto dal Progetto Esther come “un’organizzazione che sostiene Hamas”, etichetta fermamente respinta da Jewish Voice for Peace: “Trump sta seguendo un manuale dell’autoritarismo. Usa strumenti repressivi contro chiunque si batte per i diritti dei palestinesi”. Concorda Jonathan Jacoby, direttore del Nexus Project, un’associazione che combatte l’antisemitismo e protegge il dibattito aperto: “Il Progetto Esther cerca di trasformare in sostenitore di Hamas chi si oppone alla politica di Israele, definendolo un terrorista e una minaccia alla sicurezza americana”. Una lettera aperta firmata da tre decine di ex-dirigenti di alcune fra le maggiori associazioni ebraiche Usa, compreso un ex-presidente dell’Anti Defamation League, ammonisce che “un certo numero di individui stanno strumentalizzando un presunto timore per la sicurezza ebraica come metodo per indebolire la libertà di parola e di stampa negli Stati Uniti”. La lettera esorta i leader e le istituzioni ebraiche degli Usa a resistere a questa campagna e a “battersi per difendere la democrazia”.