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 2025  maggio 18 Domenica calendario

Quel ritratto di Napoleone che nasconde una fake news

Un video sfocato, un gesto ambiguo, un oggetto bianco sul tavolo. Tanto è bastato per scatenare una valanga di accuse contro Emmanuel Macron. Durante un viaggio in treno verso Kiev con altri leader europei, il presidente francese si china, prende qualcosa e lo mette via. Basta poco perché alcuni siti complottisti – molti dei quali legati alla disinformazione russa – parlino di cocaina. Ma no. Era solo un fazzoletto. Lo chiarisce l’Eliseo con una foto ad alta risoluzione e un messaggio secco: «Questo è un fazzoletto».
La disinformazione corre veloce, oggi più che mai. Ma non è una novità. Da secoli le immagini vengono usate per influenzare, convincere, manipolare la realtà. È un’arte antica. Anzi, è storia dell’arte.
Anno 452. Il generale Attila avanza verso Roma. L’Impero trema. Papa Leone I lo incontra e – miracolo! – il “flagello di Dio” si ritira. Mille anni dopo, Raffaello dipinge questo episodio in Vaticano, durante il pontificato di un altro Leone: Leone X. E qui succede qualcosa di interessante. Il Papa raffigurato nell’affresco non è Leone I. È Leone X. Ha la sua faccia, il suo doppio mento, perfino il suo sguardo. Anzi, compare due volte: anche come cardinale, in primo piano a sinistra. Non è un errore. È un messaggio: la Chiesa che ha fermato Attila è la stessa che guida oggi Roma. E il pontefice attuale è l’erede diretto di quel potere.
Non solo: Raffaello cambia l’ambientazione. Non ci troviamo nella pianura padana, vicino a Mantova – come dice la storia – ma alle porte di Roma. Riconosciamo il Colosseo, un obelisco, un acquedotto. Roma è presente, visibile, dominante. L’incontro non è solo una trattativa: diventa una difesa eroica e spirituale della Città Eterna, una messa in scena pensata per rafforzare la centralità e la sacralità del papato. Raffaello riscrive la storia con eleganza. Ma la riscrive.
Saltiamo avanti di tre secoli. È il 1800. Napoleone Bonaparte, giovane e ambizioso, vuole costruire la propria leggenda. Il pittore Jacques-Louis David lo ritrae mentre attraversa le Alpi per sorprendere l’esercito austriaco: sguardo fiero, dito che indica la via, mantello al vento, cavallo impennato e nome inciso nella roccia in primo piano accanto a quelli di Annibale e Carlo Magno. Un’immagine potente, iconica. Peccato sia falsa.
Napoleone le Alpi le ha attraversate davvero, ma a dorso di mulo, con passo lento e guardingo, accompagnato da un contadino locale che conosceva il passo del Gran San Bernardo. Lo racconta Paul Delaroche in un altro quadro, dipinto cinquant’anni dopo. Qui Napoleone non comanda: è condotto. Non sfida la montagna: la teme. È avvolto in un cappotto pesante, il volto teso e provato dal freddo. Ecco la realtà, meno eroica, più vera. Ma quale delle due immagini ricordiamo? Quella di David. Quella falsa. Quella giusta, se lo scopo è scolpire un mito.
E poi c’è Emanuel Leutze, pittore tedesco-americano che nel 1849 dipinge Washington che attraversa il fiume Delaware, forse l’immagine più iconica della Rivoluzione americana. Un quadro enorme, spettacolare, con George Washington in piedi su una barca che fende il fiume ghiacciato.
È la notte di Natale del 1776. Washington guida un attacco a sorpresa contro le truppe tedesche dell’Assia, alleate degli inglesi. La scena è epica, carica di simboli. Sulla barca ci sono dodici uomini, scelti per rappresentare la varietà delle colonie americane: cacciatori, contadini, marinai, persino un uomo afroamericano. Sopra di loro, nel cielo, una luce squarcia le nuvole. È l’alba della libertà. L’America appare già unita. E predestinata.
Il problema? Quasi nulla è reale. La bandiera raffigurata non esisteva ancora: sarà adottata solo l’anno dopo. Le barche utilizzate non erano così agili, ma piatte e pesanti. E Il ghiaccio? Somiglia più a quello del Reno tedesco che al Delaware.
Ma Leutze non stava cercando la verità storica. Stava cercando un’emozione. Dipingeva da Düsseldorf, nel pieno delle rivoluzioni europee del 1848, e voleva ispirare i liberali del Vecchio Continente: mostrare loro che ribellarsi a un impero si può. Serviva un’immagine forte, teatrale, trascinante. L’ha costruita.
Che si tratti di un fazzoletto su un tavolo o di un mulo travestito da cavallo bianco, il rischio è sempre lo stesso: credere non a ciò che è, ma a ciò che ci viene raccontato. Perché a volte basta poco per perdere di vista la realtà. E finire per accettare come vero ciò che qualcun altro ha voluto farci credere.