Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 18 Domenica calendario

Wall Street trema dopo Moody’s la Casa Bianca accusa gli analisti

Anche l’ultima tripla A se n’è andata, per gli Usa. Dopo S&P nel 2011 e Fitch nel 2023, anche Moody’s ha stabilito che l’economia del dollaro non merita più il rating massimo. Uno choc, che domani sui mercati potrebbe innescare, oltre ai declassamenti automatici di molti emittenti Usa, vendite sulle azioni di Wall Street e turbolenze o tassi crescenti sui Treasury bond. Ma il vero effetto sarà nel medio termine, se l’evento porterà a un riequilibrio dei rapporti di forza tra le Borse, da vent’anni sempre più sbilanciati verso azioni e bond di Wall Street, che riempiono ormai i tre quarti dei portafogli globali mentre l’economia Usa vale un quarto del Pil globale.
Il direttore della comunicazione della Casa Bianca, Steven Cheung, ha attaccato duramente il capo economista di Moody’s Analytics, Mark Zandi, definendolo un oppositore politico di area democratica. Ma Zandi non è nemmeno tra gli autori della nota sugli Usa, e lavora in una divisione separata che non si occupa di rating. Sul mercato, però, non c’è stupore, dopo anni di finanza pubblica blanda a Washington, fra i tagli dei tasse e il binomio deficit-debito in continua crescita: per non dire del secondo mandato di Donald Trump, che a inizio aprile ha rotto l’ordine mondiale globalizzato con l’annuncio di dazi che hanno causato 1.000 miliardi di dollari di vendite sul debito Usa, e l’impennata dei suoi rendimenti.
Malgrado l’assenza di stupore, tutti gli operatori si interrogano sul futuro, a partire da domani. Intanto per i toni dell’analisi dell’agenzia, perentori sul presente e inquietanti sul futuro, con le proiezioni del deficit federale in ascesa dal 6,4% del Pil 2024 al 9% nel 2035, e con il cospicuo aumento degli interessi sul debito americano. Il declassamento, poi, arriva in una fase di fragilità dopo un mese di ininterrotto rimbalzo dai minimi dell’8 aprile, con l’indice S&P 500 risalito di un 20%, dai 4.982 di allora fino ai 5.958 di venerdì scorso, solo un 3% sotto il record storico del 15 febbraio. Un movimento di “scampato pericolo” ma dalle basi fragili, visto che la tregua di 90 giorni sui dazi, e i negoziati in corso con alcuni Paesi (tra cui la Cina, ma non l’Ue) non hanno ancora prodotto soluzioni stabili. In aggiunta, non è chiaro se lo spettro della recessione, evocato sull’economia Usa che frena e resta minacciata dall’inflazione, sia diradato. La pubblicazione, giovedì, degli indici Pmi di Usa, Francia, Germania, Eurozona e Regno Unito darà un segnale importante sulle aspettative di attività nei vari settori economici.
«La decisione di Moody’s, tardiva rispetto ai rivali, non può sorprendere: se invece di quella a stelle e strisce ci fosse un’altra bandiera, il rating Usa con criteri economici dovrebbe essere anche più basso di Aa1 di uno o due gradini – dice Davide Serra, a capo del fondo Algebris e già critico sui conti pubblici Usa – Comunque ci saranno enormi conseguenze, perché tutti i titoli finanziari al mondo si basano sui prezzi del T-bond e del dollaro, che ha privilegi esorbitanti come valuta di riserva. Per questo la scelta di Moody’s potrebbe rivelarsi la più importante dei prossimi 3-5 anni per chi investe. E innescare un rafforzamento di azioni e bond denominati in valute diverse dal dollaro». Moody’s ha comunque tenuto un outlook “stabile” sul rating Usa, data la «forza unica e la resilienza dell’economia», e ha chiarito che il biglietto verde non perderà il ruolo dominante come valuta di riserva «nel prevedibile futuro». Ma anche il dollaro, debole sui mercati da inizio anno e che ha perso la parità sull’euro fino ai minimi di 0,87 il 21 aprile scorso, domani subirà un test. «Sebbene non sia una sorpresa – ha detto Yesha Yadav, professore alla Vanderbilt Law School e studioso dei T-bond – si tratta di uno scossone piuttosto brutale per un mercato già in tensione, e di un rimprovero ai politici perché si concentrino sulle riforme urgenti per garantire che il debito Usa mantenga il prestigio di asset mondiale privo di rischi». Venerdì Moody’s uscirà anche sul rating dell’Italia, finora Baa3 e con prospettive “stabili”.