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 2025  maggio 18 Domenica calendario

"Dottoressa presto ! Il mio orsetto è in pericolo" L’Ospedale delle Bambole e 130 anni di abili cure

«Dottoressa, c’è un codice rosso. Può venire in accettazione?». «Miche’, al sabato non ricoveriamo, lo sai. Vabbè, arrivo!». Napoli, via San Biagio dei Librai 39. In piena Spaccanapoli, a due passi dalla Cappella Sansevero e dai presepi di San Gregorio Armeno, si visitano e si dimettono pazienti. Pazienti di peluche e porcellana, con occhi di vetro e nasi ricamati col cotone marrone. Accade all’Ospedale delle Bambole, un luogo dove il tempo è fermo al secolo scorso e l’atmosfera resta sospesa tra incanto e inquietudine, oltre la soglia del “Bambolatorio”.
Nelle scuderie di Palazzo Marigliano, uno dei gioielli architettonici partenopei del 1500, infatti, c’è la sede di una vera e propria istituzione che da 130 anni accomoda giocattoli. E funziona proprio come un ambulatorio: all’accettazione c’è Michele Scivicco, addetto al triage. È lui che si occupa di avvisare la dottoressa Tiziana Grassi se c’è qualche caso urgente da trattare. «Abbiamo una lista d’attesa lunghissima, come nella sanità pubblica. Ma qui non facciamo favoritismi agli amici. Solo i bambini hanno la priorità», racconta scherzosamente mentre compila la cartella clinica del paziente appena arrivato. Orsetto di piccole dimensioni, color biscotto. Prima diagnosi: usura da troppo affetto, «prognosi riservata». Alice, che lo ha portato all’Ospedale, gli è molto legata ma aspetterà il tempo necessario. «Dopo l’accettazione, – dice ancora Michele – la dottoressa, che poi è mia madre, fa una visita più approfondita e la diagnosi. Infine il piano terapeutico». In altre parole, preventivo e stima dei tempi di lavorazione.
Oltre la porta del Pronto Soccorso, si apre un mondo. Qui, la padrona di casa è proprio Tiziana: stetoscopio rosa al collo, camice bianco e singolari occhiali da vista con una lente quadrata e l’altra rotonda. Si muove tra gli scaffali del reparto “Oculistica”, dove gli occhi di vetro sono divisi per dimensione e colore, e quelli dell’area “In attesa di trapianto”, dove giacciono in una penombra da film horror teste, mani, braccia e piedi. «Ripariamo di tutto, ci arrivano giochi che hanno anche 70 anni. Nonostante il consumismo di quest’epoca, ci sono ancora persone che vogliono conservare un ricordo»: è sorprendente che nell’era del digitale a tutti i costi, sul tavolo del “bambolatorio”, la sala operatoria di Tiziana e Alessandra, che è la sua assistente, ci siano decine di balocchi da aggiustare. «Qualche settimana fa – racconta Tiziana – una signora che è appena diventata nonna, ci ha portato due peluche identici che erano dei suoi gemelli. Li ha conservati e ora che entrambi i figli sono diventati genitori a loro volta, li ha voluti rimettere a nuovo per donarli ai nipotini». Nasi da ricamare, un po’ di filler all’imbottitura. Qualche cucitura da riprendere, oltre a un bagno energico.
Guardarsi intorno in questo luogo è come sfogliare un vecchio album: ci sono molte foto in bianco e nero, in una un uomo sorridente tiene in mano una marionetta: «È la storia della mia famiglia». L’ospedale delle bambole è nato con Luigi Grassi, bisnonno di Tiziana, alla fine dell’Ottocento: «Luigi era scenografo dei teatri di corte e dei teatrini dei pupi. Nel suo laboratorio riparava oggetti di scena di qualsiasi genere. La gente era attratta dalla sua bottega». Grassi ha iniziato con le bambole per caso: «Fu una signora la prima a chiedergli di accomodarne una per la propria figlia. Si sparse la voce nel quartiere, la clientela aumentò: all’epoca i bambini avevano un solo giocattolo. Così, nel laboratorio c’erano braccia, gambe e occhi dappertutto. Un signore, passando davanti alla bottega disse: “Me pare ‘o spitale de’ bambule” (Mi sembra l’ospedale delle bambole, ndr). E così, Luigi lo battezzò, scrivendone il nome su una tavoletta di legno con un pennarello rosso».
Dalla fine dell’Ottocento a oggi sono cambiate molte cose: «Sette anni fa è stato un momento spartiacque: ci siamo spostati dal vecchio laboratorio, che era piccolissimo, a questa sede prestigiosa. Abbiamo aperto il museo ai turisti che vengono a conoscere il nostro lavoro», racconta ancora Tiziana.
Nel frattempo, squilla di nuovo il telefono del laboratorio. «Un altro ricovero», sorride. È Giada, 35 anni da Pescara, che ha portato il suo elefantino azzurro. «Non sono pronta a separarmene».
«Dov’eravamo rimasti?». Tiziana riprende il filo dopo l’interruzione: il suo modo di raccontare è un misto tra folklore e dedizione. E non stupisce che sia così, visto il luogo in cui ci troviamo. «Prima di tutto questo – prosegue – c’è stato un periodo in cui ci siamo chiesti come fare per portare avanti una tradizione familiare di cui avvertivamo tutta la responsabilità. Ma che faticavamo a tenere in piedi». L’idea del museo e dell’apertura al pubblico sono state la chiave di volta, insieme alle donazioni da parte di mecenati cittadini dell’arte. «Sono state la nostra fortuna: sette anni fa, quella donazione anonima inaspettata fu un segno del destino. Abbiamo capito che dovevamo continuare quello che cinque generazioni prima di noi era stato avviato», racconta Luca Scivicco, fratello di Michele e figlio maggiore di Tiziana. Lui, nella complessa organizzazione familiare dell’Ospedale, segue le pubbliche relazioni, i social. La laurea in Cinema e Spettacolo aiuta: in fondo, qui sembra di essere dietro le quinte di un teatro, con tanto di reparto “Trucco e parrucco”. Luca è anche l’uomo dei numeri, quello che tiene il conto dei ricoveri: «Oggi facciamo circa 500 restauri all’anno. Questo ci dice che per le persone questo è un servizio importante». L’alto numero di richieste di riparazioni, però, li ha costretti momentaneamente a interrompere le prese in carico: «Abbiamo aperto una vera e propria lista d’attesa. Smaltiti i 150 giocattoli attualmente in lavorazione potremo dedicarci agli altri. È una questione di serietà», ci tiene a precisare. Accomodare un giocattolo, comunque, può essere un’operazione costosa: dai 20 ai 500€, a seconda del tipo di intervento necessario. «Una volta, una bambina mi aveva portato un bambolotto a cui mancava totalmente un occhio. Il trapianto sarebbe stato troppo costoso e non ne valeva la pena – racconta Tiziana – Così, ho messo una benda sull’occhio ferito e ho raccomandato alla piccola proprietaria di amarlo ancora di più proprio per quella sua specialità».
Accontentare tutti, comunque, non è semplice. Anche perché la quantità di materiali è notevole: esiste un magazzino, ancora chiuso al pubblico, in cui sono catalogati tutti i pezzi di ricambio. «È il nostro caveau», scherza Luca. All’interno sono contenuti stock di braccia, occhi, nasi, alcuni provenienti dal recupero di giocattoli vecchi destinati alle discariche, altri da donazioni di aziende produttrici in dismissione: «Sette anni fa ci sono arrivate 45 scatole di ricambi provenienti da un’azienda danese che stava chiudendo. Fu l’altro segnale che aspettavamo in un momento di impasse».
A settembre, l’Ospedale compirà 130 anni. All’orizzonte c’è l’interesse della tv, un programma televisivo. Quello che conta, però, è il supporto della gente: «Il 1° aprile abbiamo postato sui nostri social un Pesce d’aprile in cui dicevamo che eravamo costretti a chiudere. Siamo stati inondati di affetto e di offerte d’aiuto: d’ora innanzi, sappiamo che possiamo contare sulle persone che da sempre ci vogliono bene». —