La Stampa, 18 maggio 2025
L’errore della premier nella politica estera Ora l’Italia resta sola fra Europa e Usa
Quella foto fa male. Gruppo di testa dell’Europa senza Italia. Volodymir Zelensky ugualmente a suo agio. Sono loro, ormai, i “leader": Merz-Macron-Starmer-Tusk. Donald Trump li ragguaglia sull’incontro di Istanbul – forse anche sulla telefonata che farà poi a Vladimir Putin? – senza essere turbato dall’assenza di Giorgia Meloni. Fa male soprattutto perché mette impietosamente a nudo una falla strategica nella politica estera del governo italiano: il filo doppio che lega politica transatlantica e politica europea. Per contare nell’una bisogna contare nell’altra. E viceversa. Meloni replica di essere «coerente». Se la coerenza riguarda il non invio di truppe in Ucraina, a garanzia della pace, è un falso problema. Se ne parlerà quando la pace sarà in vista. Si parlava di come aiutare l’Ucraina ad arrivarci. E l’Italia non c’era.
Assenza tatticamente perdente su tre fronti: europeo, ucraino e americano. Si può ancora correre ai ripari. Faticosamente. Siamo avvezzi alle corse ad inseguimento, dal G7 nel 1975 – assolutamente uno dei maggiori successi della politica estera italiana – al Gruppo di Contatto sulla ex-Jugoslavia nel 1996. Non sempre con successo, vedi negoziati con l’Iran che, in campo europeo, rimangono prerogativa degli “E3” (Regno Unito, Francia, Germania). Esclusa al primo turno da formati internazionali chiave, l’Italia riesce ad entrare al secondo o al terzo. O non entrare (Iran). Alla base di questi recuperi, talvolta per mancato invito dei soci fondatori, altre volte per sbadataggine diplomatica, c’è sempre la convinzione, realistica, radicata, strategica, che la politica estera dell’Italia si fa da “dentro” non da fuori. E che, il punto di partenza è l’Europa: se a Washington, Mosca o Pechino, gli “europei” sono identificati negli E3, l’Italia si trova relegata a ruota di scorta.
Sull’Ucraina, Giorgia Meloni ha ritenuto di poter ovviare all’Europa grazie al rapporto bilaterale privilegiato con Donald Trump. È un doppio errore. Sopravvaluta il legame col presidente americano. Quali che siano le affinità ideologiche o le simpatie personali Trump non guarda in faccia a nessuno, vedi lo scavalcamento di Benjamin Netanyahu, altro pellegrino, come la presidente del Consiglio, a Mar-a-Lago. Secondo, Trump non cerca immaginari “ponti” con l’Europa o l’Ue. Né li cercano leader come Merz o Starmer. Fanno da soli. Viene quindi meno il tradizionale appoggio americano all’inclusione dell’Italia nei gruppi ristretti, come da manuale diplomatico della Farnesina: bussare alle porte Usa – ce ne sono tante, Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Pentagono – per farsi aprire quelle europee. Intanto, nella seconda amministrazione Trump, ce n’è una sola che conta, la sua. A Trump, che vuole un’Europa divisa – appoggiò Brexit – e una Unione europea debole perché inimica più della Cina – lo dice – sta benissimo un’Italia che, dall’esterno, metta i bastoni fra le ruote a Bruxelles. Come l’Ungheria di Viktor Mihály Orbán ma con molto più peso. E che, sull’Ucraina, non rafforzi i volenterosi dai quali potrebbero venire difficoltà alla sua “pace” da negoziare con Putin – senza europei e senza Kiev al tavolo.
Nell’esclusione dell’Italia ha giocato sicuramente il pessimo rapporto personale fra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni. Del quale il presidente francese ha la sua parte di responsabilità (30/70?). Ma la politica estera non si fa sulle simpatie bensì sugli interessi nazionali come la presidente del Consiglio non si stanca di ripetere. Francia e Italia sono il secondo e terzo Paese dell’Ue. Con una guerra nel cuore dell’Europa e un’altra, commerciale, che sta agitando le acque dell’Atlantico. Possibile che non sia possibile trovare un pragmatico terreno d’intesa anziché farsi continui – e puerili – sgambetti?
Pur neofita, la presidente del Consiglio si è mossa accortamente sullo scenario europeo e mondiale. Il cambio della guardia a Washington rimescola le carte. Giorgia Meloni ha una mano più forte grazie all’allineamento ideologico con Maga. Forse nuovi alleati a cominciare dalla Romania che va alle urne oggi. Ma cambiano le carte, non le regole ferree del poker internazionale. Dall’unità in poi l’Italia si è dibattuta nella ricerca di equilibrio fra “continente” cui l’Italia è agganciata, quindi in primis Germania, e “mari” in cui si proietta, quindi un tempo Uk oggi Usa. In altre, ma simili circostanze, l’ambasciatore Bruno Archi, consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi, ebbe il coraggio di dirgli «Signor Presidente non possiamo metterci contro la Germania». Berlusconi gli diede retta. Giorgia Meloni ascolta ancora questi consigli dopo aver mandato in esilio più di un collaboratore?