Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 18 Domenica calendario

Intervista a Roberto Cenci

Sembra un luna park. Di luci e suoni. Di giocolieri della vita, di incantatori di emozioni, di donne cannone sparate oltre l’azzurro del cielo. Di secondi, inquadrature, attimi da immortalare prima che l’onda cancelli la traccia.
Roberto Cenci è lì in mezzo, anzi è lì davanti. A tutti. Da quando aveva sette anni “e papà, musicista, mi portava in sala prove per incidere un pezzo con la Vanoni, Celentano o Mina”. Da quando ha lasciato su una panchina di periferia gli amici e la loro dose di eroina. Da quando è diventato uno dei registi più famosi (e prolifici) della televisione e ha immortalato, visto, seguito, costruito programmi e carriere (“Il Volo sono una mia intuizione”).
La sua foto profilo è con Al Pacino.
Perché quando è stato ospite ad Amici siamo rimasti mezz’ora chiusi in ascensore.
Benvenuto.
Mi sembrava di avere accanto L’avvocato del diavolo (film con Al Pacino protagonista).
Lì era fan o regista?
Macché, ero alle prese con la mia claustrofobia: a un certo punto ho spalancato le porte, ma davanti ho trovato solo un muro. Lui era immobile, masticava un chewing gum.
Ha dato le testate.
No, ho aspettato i pompieri. Nel frattempo pensavo: “Una volta fuori questo non farà più nulla”, invece ha solo detto “Ok, andiamo. Lavoriamo”.
Professionista.
Ad Amici ho visto sfilare una serie di miti; (pausa) venne anche Harrison Ford.
Andiamo alle sue origini…
Papà musicista, io appresso a lui; papà ha suonato anche in L’appuntamento di Ornella Vanoni, poi è presente nei dischi di Mina, Celentano e altri.
Lo seguiva?
A sette anni ho suonato il triangolo in un pezzo della Cinquetti; (sorride ) quando poteva stavamo insieme, mi permetteva di condividere il suo mondo.
E lei?
Affascinato, felice. Ripenso a Celentano che mi prende in braccio, mi lancia in aria e bonariamente rimprovera: “Vai a casa, non puoi stare tutto questo tempo qui!”.
Dentro lo spettacolo.
Ho imparato, da subito, a rispettare questo ambiente, a capire qual è la giusta posizione, i giusti silenzi, a muovermi piano, a scomparire se necessario; (pausa) ero presente quando Shirley Bassey ha inciso La vita, o in saletta con Mina.
Innamorato di Mina?
Non poteva essere altrimenti.
Al Conservatorio ha studiato percussioni.
Papà desiderava la chitarra, io amavo la batteria; la fortuna, o la sfortuna, è che dopo il Conservatorio sono partito militare, e al ritorno c’era il boom delle batterie elettroniche: trovare lavoro era difficilissimo.
A quel punto?
Piano piano sono entrato in Rai per suonare in alcuni programmi, ma oltre alla parte musicale restavo lì a guardare, a sbirciare come funzionava la macchina, quali erano le liturgie.
Quali programmi?
Il bello della diretta con Loretta Goggi, un altro con Antonello Falqui, un altro ancora con Giancarlo Nicotra.
Il massimo.
Sì, ma nella classifica delle mie passioni c’era al primo posto il teatro, il contatto con il pubblico. Anche lì seguivo mio padre, magari al Sistina con Trovajoli: mi piazzavo nella buca (dopo c’è l’orchestra) e guardavo Alleluja brava gente o Ciao Rudy.
Garinei e Giovannini.
Aggiungo: avevo solo nove anni ed ero lì quando Gigi Proietti diventava un grande; Gigi ha scandito dei passaggi fondamentali della mia vita: a 18-19 anni ho suonato con lui in alcune serate e a 35 ho firmato la regia di A me gli occhi please per la tv.
Proietti per lei.
Inarrivabile. Lo andavo a vedere quando ha portato in scena il Cyrano e ogni sera cambiava il finale, con gli stessi attori che piangevano per le risate.
Il suo primo lavoro.
A sedici anni, come percussionista nella Tempesta di Shakespeare, con la regia di Giorgio Strehler; non potevamo suonare nella buca, perché Streheler la utilizzava per nascondere l’albero della nave, quindi eravamo nelle quinte del teatro, con lo stesso teatro illuminato a luce piena, e non con la solita mezza. Il pubblico stava lì, poi all’improvviso calava il buio e partivamo tutti insieme, come fosse un boato, un tuono, e la gente saltava per lo spavento; tra i ragazzi c’erano Gabrele Lavia e Ottavia Piccolo.
Strehler.
Un perfezionista assoluto; in quello spettacolo c’era un fondale che sarà pesato una tonnellata. Un giorno arrivo e assisto alla scena di un macchinista, romano, arrampicato per sistemarlo, con Strehler che da lontano dava le indicazioni: “Mezzo centimetro a sinistra, no meglio due a destra…” e così per dieci minuti. A un certo punto si è sentito il macchinista manifestare un certo fastidio: “A dotto’, occhio, mo’ scenno eh…”. A quel punto Strehler ha capito: “Signori si è fatto tardi, buona giornata, vado”.
Ha visto cose…
Mi sento un miracolato per aver conosciuto certe persone.
Se ne rendeva conto già allora?
Da subito ho provato un amore smodato per questo mondo; (cambia tono) ero piccolo e per l’ultima serata di uno spettacolo mi sono ammalato: 39 di febbre e solo per il dolore della parola fine. Del sipario.
Amore totale.
La compagnia diventa una famiglia e i vari componenti ci devono credere, la devono vivere così, con il bello e il brutto tempo. Poi c’è la fine, il distacco, che ti segna…
E per lei…
Era tutto magico.
Parco giochi.
Una sera Renato Rascel mi fece un culo grosso così.
Che aveva combinato?
In Alleluja aveva un cambio d’abito veloce e proprio dentro la buca. Da ragazzino, un po’ pirla, ho aperto la mezza tenda per vedere cosa accadeva. Quando se n’è accorto sono stati cavoli. Da allora non sbircio.
Il palco è una droga?
Infatti viene detto “zuccherino”. Se lo provi non lo molli.
È un artista?
Non lo so, ma ogni progetto che prendo è perché sento qualcosa dentro, qualcosa, magari, di impercettibile per altri.
Come mai non è finito sul palco ma davanti?
Non ci ho mai pensato, però prima della diretta spesso intrattengo il pubblico, divento un buffone e diverto.
Il regista è un leader?
Deve esserlo, però la figura è cambiata: sono anche autore, è importante, mentre oggi la maggior parte sono solo realizzatori.
Quindi non ha mai sognato di condurre…
Non è semplice…
Stress puro.
(Sorride) Per nove anni sono stato il regista di Donna sotto le stelle, con tutte le top model del mondo…
Una faticaccia.
Bisogna essere forti.
Quindi?
Mi chiamano prima della diretta: “C’è un problema con Grace Jones”. Arrivo e per la tensione aveva bevuto del vino che l’aveva stesa. Io arreso. Ero certo non fosse in grado…
Invece?
Parte la sfilata e sul finale vedo un’ombra dall’alto che scende la scalinata da pantera: non poteva affrontare la scalinata in piedi e si è inventata questa variante. È stata fantastica.
Lei ha determinato carriere.
Sì, come Il Volo. È uno dei miei esperimenti, alla fine decollati con Tony Renis; aggiungo Angelo Pintus, per me è un quarto figlio.
Pintus è uno dei big.
È cresciuto tanto ed è quasi alla maturità. L’unica spina è Sanremo dove non è andato benissimo, ma non per colpa sua: è entrato nelle dinamiche autoriali del Festival. Oggi farebbe il botto.
Il comico ha l’ansia di dover far ridere, sempre.
E fuori sono quasi tutti tristi, a parte lo stesso Pintus, Pucci e Fiorello. Anzi, Fiore ha talmente tanta energia che in alcune fasi ha bisogno di un coperchio.
Torniamo ai suoi inizi: la tv.
Lavoravo con Beppe Recchia (storico regista televisivo) a Buona domenica: quando c’era una parte musicale, quindi un cantante o un balletto, si spostava e mi lasciava la regia.
Bel coraggio.
Io un incosciente totale.
Pure lui.
Un po’ sì.
E poi?
Lorella Cuccarini mi vuole per la regia di 30 ore per la vita; (resta zitto) attenzione: l’anno prima la trasmissione era stata seguita da quattro registi, quella volta mi hanno lasciato solo per 46 ore. Alla fine piangevo.
Ed è arrivato Costanzo.
Quattordici anni della mia vita: con lui ho capito tanto dell’ambiente, dello star system, dei segreti. Quando parlava lui tutti zitti, in ascolto. Era un uomo potente a 360 gradi…
E…
Mi sono divertito da matti. Ma lavorava sempre.
Lei appresso?
Mi presentavo da lui alle 8.15, destinazione: gli studi. Siccome aveva la scorta, ogni mattina mi cagavo sotto per come andavano. Poi riunioni fino alle 8 della sera, dopo mi spostavo di studio per la regia del serale di Maria (De Filippi) All’una di notte chiudevo e il messaggio di Maurizio era: “Ci vediamo domani alle 8.15 e non rompere”.
Uomo di potere.
Da lui trovavi chiunque e di qualunque livello di politica, impresa o spettacolo.
Quanti lecchini?
Aveva un grandissimo istinto: riconosceva chi aveva merito e chi era lì per rompere le palle; (pausa) però l’ho visto aiutare tante persone, in silenzio, un po’ come fa Maria.
Della De Filippi aveva colto le qualità?
Le prime volte, no. Anzi, la prima volta che ci sono entrato in contatto le proposero di condurre uno speciale da Venezia. Dopo varie riflessioni rispose di “no”, perché sapeva di non poter offrire il massimo…
Qual è la morale?
Lei ha la pancia della tv, ha assimilato tutto da Maurizio, con la capacità di renderlo suo.
Anche lei stacanovista.
Si sveglia alle 7 e lavora fino all’una di notte. È una macchina da guerra, con una sensibilità spiccata anche se non la mostra; anzi, oggi la mostra di più.
Con chi si è emozionato?
Con Stevie Wonder: mi sono seduto accanto a lui mentre riscaldava la voce; poi con Renato Zero: lo seguo da quando sono bambino; aggiungo Claudio (Baglioni) e Gigi.
L’accusa che le rivolgono di più.
Mi danno del “tosto”.
Sliding door.
(Ci pensa, a lungo) A Milano sono nato e cresciuto in periferia, una zona divisa tra Mammarosa (Rudy Crovace), capo dei fascisti, e Andrea Bellini, capo di Autonomia operaia.
Lei dove stava?
Nel mezzo, giocavo a pallone con altri pirla.
Disinteressato alla politica.
La mia adolescenza l’ho passata in mezzo all’eroina, e per questo ho perso tanti amici.
E qui la sliding door.
Ero su una panchina con alcuni di loro: tirano fuori la siringa, la preparano e me la porgono “Vuoi provare?”. Lì ho sentito un brivido, ho rifiutato, e sono scappato. Quel giorno mi sono salvato la vita.
Chi l’ha presa per i capelli?
Credo di aver visto il viso di mia madre e la sua mano armata dal cucchiaio di legno; chi aveva una famiglia, presente, ce l’ha fatta. Gli altri sono quasi tutti morti; (ci pensa) mia mamma è morta il giorno del mio cinquantesimo compleanno, mentre ero impegnato con Morandi all’Arena di Verona. Da quella volta non ho più festeggiato. Ai 60 cambio idea, organizzo un super party e quella sera chiedo a Ornella di autografare la chitarra di mio padre, quella suonata per L’appuntamento.
Un cerchio che si è chiude.
In quel momento entra la Zanicchi, vede Ornella accanto a Renato Zero, si avvicina e inizia: “Ornella, Ornella, sono la Iva, non mi riconosci?”. E Ornella, con un tempo comico perfetto: “Ma tu pensi veramente che sia rincoglionita?”.
Ora è a L’Isola con Veronica Gentili.
La seguivo quando era impegnato con la politica. Mi aveva colpito per la beltà e per il suo modo dritto di rivolgersi ai politici; (pausa) le ho dato pochi consigli, ma li ha seguiti tutti.
Lei chi è?
Un uomo di 62 anni che cerca di fare ancora bene il suo mestiere e vive in serenità. Con un po’ di malinconia.