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 2025  maggio 18 Domenica calendario

La scure di Trump sugli aiuti lascia l’Uganda senza medici

Meno medici e infermieri per curare madri che arrivano coi piccoli in grembo, per tracciare l’avanzamento di epidemie fra le comunità di pastori nella savana o per intervenire con farmaci contro la malaria, l’Hiv/Aids e altre malattie. In Uganda, al Saint Pius Kidepo Health Centre III, presidio di frontiera sul confine col Kenya, nella poverissima regione di Karamoja, il blocco dei finanziamenti Usaid ha significato la perdita di otto funzionari sanitari.
Le parole sprezzanti di Musk e Trump qui si traducono in paura del futuro tra la gente che sopravvive grazie a quegli aiuti e nella preoccupazione del personale medico. «Il problema è molto, molto serio», ne è consapevole la dottoressa ugandese Lilly Achayo, program manager di Medici con L’Africa Cuamm, Ong che in Karamoja ha il suo presidio principale al St. Kizito Hospital Matany, un’eccellenza capace di prestare 38mila visite l’anno. Qui Cuamm, tra le tante attività, ha fondato il reparto per le nascite premature e il laboratorio per le ricerche sulla resistenza macrobiotica, sempre più preoccupante anche in Africa. Con lo smantellamento di Usaid, spiegano amministratori e cooperanti, l’ospedale ha dovuto rinunciare a cinque medici e infermieri e ha perso 56mila dollari per le cure dell’Hiv. Non solo, ora mancano i fondi per i volontari di comunità, figure preziosissime che fanno lavoro di base nei villaggi, monitorano focolai, somministrano cure e sensibilizzano. E Cuamm da parte sua ha dovuto bloccare un programma di salute materno infantile in avvio.
La situazione è anche più cupa all’ospedale regionale del capoluogo Moroto, struttura pubblica che sui finanziamenti Usaid faceva molto affidamento. Nel suo ufficio, il dottor Ngorok spiega che dopo lo stop hanno perso lavoro 42 dipendenti di diversi livelli: amministrazione, laboratori, servizi clinici e nei dipartimenti dove si dà si combattono Hiv e malnutrizione. «Ora il governo vuole integrare i servizi, trasformare centri specializzati in poliambulatori che curano più malattie. Ottimizzare. Siamo chiamati a una grande sfida», aggiunge con preoccupazione.
La sottrazione di risorse non ha colpito solo l’isolata Karamoja, ma tutta l’Uganda dove nel 2024 la voce di bilancio per la Sanità ammontava ad appena 750 milioni di euro, su 45 milioni di abitanti. E più della metà della quota era fornito da Usaid (l’Agency for International Development Usa versava al Paese in tutto 840 milioni, comprese altre progettualità come agroalimentare o diritti umani). In una nazione con 0,09 medici per mille abitanti, senza il determinante contributo di Usaid, opposizione e sindacati avvertono che ci sono ben 12.551 lavoratori del sanitario a rischio, mentre circa 2mila hanno già perso il posto. Il governo esibisce ottimismo. A gennaio si vota, l’anziano presidente Museveni si ripresenta per il settimo mandato e promette di aumentare il budget della Salute, dal 6,5% al 15% del bilancio.

«La confusione è grande, così come il panico nelle persone – spiega nella sede di Cuamm a Kampala il Rappresentate paese Peter Lochoro –. Ad oggi Usaid continua a sostenere solo le prestazioni di cure dirette, essenziali e salvavita. Lo smantellamento improvviso sta colpendo i servizi indiretti, quelli amministrativi, di elaborazione dati, di logistica, di smistamento e di assistenza per la maternità o la malaria». Così il sistema si inceppa. I farmaci per l’Hiv ci sono ancora, ma se mancano le logistiche diventa impossibile muoverli. L’Uganda conta un milione e 200 mila sieropositivi, l’80% riceve gli antiretrovirali tramite Usaid. Monitoraggi, ricerche, vaccinazioni sono in affanno, in una terra che è un crocevia e dove si ripresentano focolai d’Ebola, si diffonde il Mpox (il vaiolo delle scimmie) e malaria e tubercolosi continuano a mietere vittime. Anche nel distretto di Oyam gli equilibri sono colpiti alle fondamenta. Qui, sulla sponda nord del Nilo, il St John XXIII Hospital di Aber è un baluardo per la popolazione e il Cuamm vi implementa tante attività mediche. Spiega il dottor Giovanni Dall’Oglio, medico e esperto di progettazione della Ong: «Con la fuga di Usaid mancano fondi per la diagnosi e la cura di Hiv/Aids, per i progetti di Human Right, per farmaci essenziali e tanto altro». Alle pareti sono appesi i tabelloni coi progressi raggiunti, anche grazie al supporto di Cuamm: le tante donne aiutate a partorire per esempio, 925 nascite lo scorso trimestre e 400 cesarei. Ma per progredire serve il lavoro capillare nei villaggi sperduti, quello sostenuto dagli assistenti alla salute delle comunità, uomini e donne che vanno fra le famiglie, spiegano, distribuiscono farmaci, tengono d’occhio l’allargarsi di febbri o contagi. Solo così si fa prevenzione porta a porta alla malaria, o si convince una madre adolescente a partorire in ospedale e non in condizioni di pericolo nella propria capanna.
Ma da luglio tale attività nel distretto non avrà più il sostegno di Global Fund, finanziato a sua volta da Usaid, e bisognerà arrangiarsi con poche altre risorse. La preoccupazione è immutata se dalla parte settentrionale e più arretrata dell’Uganda ci si sposta a sud del Nilo, sulle sponde del lago Vittoria, a Entebbe, dove l’ospedale di Emergency è una straordinaria eccellenza. Progettato da Renzo Piano nel segno di sostenibilità e bellezza, è specializzato in interventi chirurgici complessi di pediatria, altrimenti impossibili in un Paese dove di pediatri se ne contano solo otto, la metà dei quali formati proprio da Emergency. La lista dei bambini in attesa d’intervento riempie due spessi schedari impilati sul tavolo, il lavoro è continuo, a fronte di un bisogno smisurato con pazienti che arrivano da gran parte dell’Africa.
«L’ospedale non riceve finanziamenti Usaid, ma la sospensione può danneggiarci per vie indirette. Il nostro bilancio è di 8 milioni, metà li mette Emergency, l’altra metà il governo che però ora senza i fondi americani potrebbe rivedere il suo piano economico» riflette Giacomo Iacomino, il Country director Uganda. E aggiunge: «È un pensiero che tiene svegli di notte».