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 2025  maggio 18 Domenica calendario

Richi, l’italo-haitiano che scia con l’isola nel cuore: «Il mio posto nel mondo è qui sulla neve delle Alpi»

Richardson Viano ricorda ancora il giorno in cui, aveva appena tre anni, vide entrare dal cancello dell’orfanotrofio in cui viveva, il Nid des enfants de Marie, a Delmas, «l’uomo bianco» che sarebbe diventato suo padre per sempre. «Lo avevo riconosciuto – racconta – dalla foto che mi avevano dato quando era stata approvata la mia adozione». «Gli sono corso incontro – prosegue – facendomi largo tra gli altri bambini che lo assediavano. A loro dicevo “andate via, lui è il mio papà, ed è solo mio”».
La sua nuova vita è cominciata così. Tra gli abbracci, i baci e le lacrime di gioia di una coppia di torinesi, Silvia e Andrea, volati ad Haiti, come hanno fatto anche tanti altri, per diventare genitori di piccoli senza niente e nessuno al mondo. Strappato all’estrema povertà dell’isola caraibica, Richardson, per gli amici “Richi”, è cresciuto a Briançon, tra le Alpi francesi, dove ha fatto per la prima volta l’esperienza della neve. Il ricordo di quel momento è ancora nitido: «Quando sono arrivato era pieno inverno, dicembre, e rimasi per ore a bocca aperta a guardare i fiocchi ghiacciati, non li avevo mai visti prima, scendere dal cielo e sciogliersi sul mio naso». Di quella «polvere fredda e magica» il piccolo haitiano si è innamorato. Nel passaggio dal mare alle montagne, dal sole alle nuvole è nato il sogno di diventare proprio ciò che oggi è: uno sciatore professionista. Un atleta nero di 23 anni che ha trovato nel bianco della neve la sua “comfort zone”. C’è un dettaglio della vita di Richi che fa della sua storia una vera e propria favola. Gara dopo gara, una discesa dopo l’altra, il giovane si è trovato a scalare ogni scalino della carriera agonistica fino a diventare un atleta della federazione francese di sci mandato a rappresentare Parigi alle competizioni di profilo internazionale. A gennaio 2019, è arrivata una telefonata inaspettata. «Mi fu chiesto – sottolinea – di gareggiare per Haiti, il Paese in cui ero nato». «Pensavo che fosse lo scherzo di un amico», insiste. Invece, no. La proposta era seria. A fargliela fu Jean-Pierre Roy, un haitiano sopravvissuto al devastante terremoto del 2010 riuscito, Oltralpe, a rifarsi una vita divisa tra il lavoro di ingegnere informatico e la passione per gli sci. Quindi anni fa, di lui, in Francia, si parlava come del “Rasta dei paletti” in parallelo ai giamaicani del bob, “i Rasta del ghiaccio”, che parteciparono ai Giochi di Calgary del 1988.
Richi ha riflettuto a lungo sull’offerta. La federazione haitiana di giochi invernali non ha allenatori, tecnici, equipaggiamento e, in generale, risorse come quelle dei grandi Paesi. Preferirla a quella francese avrebbe significato una carriera a ostacoli, tutta in salita. «Alla fine, però, ho accettato e – precisa – non me ne sono mai pentito». «Questa opportunità – argomenta – mi ha aiutato a ricostruire il legame con la terra che mi ha dato i natali. Sciare per Haiti mi offre inoltre la possibilità di parlare al mondo della mia isola in modo diverso, mettendo da parte, per una volta, le sue ferite e valorizzando, invece, la determinazione degli haitiani nello sport». «Noi – insiste – siamo gente che non molla». Nel petto del giovane sciatore, occhi neri e profondi, braccia e gambe muscolose sempre pronte a scatenarsi in danza o in una partita di ping-pong, batte in fondo il cuore di un haitiano. In casa Viano, tra l’altro, non è l’unico. Cinque anni dopo l’arrivo di Richardson, Silvia e Andrea sono tornati a Port-au-Prince per adottare altri due bambini. Questa volta femmine: Bellandine e Natacha. A ogni pasto, la famiglia è solita raccogliersi in preghiera e ringraziare Dio per il cibo portato in tavola. Le parole pronunciate ad alta voce sono quelle, in francese, che Richi e le sue sorelle hanno imparato ai tempi dell’orfanotrofio haitiano. Con una piccola modifica: l’espressione originaria, «Signore, ti ringraziamo per il poco che abbiamo», oggi è diventata: «Grazie per il tanto che ci hai donato». Lo sciatore haitiano si allena ogni giorno con dedizione, cura personalmente i suoi sci tenendo dritta la rotta verso un obiettivo: dopo aver partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2022, non vuole mancare a quelle che si terranno a Cortina l’anno prossimo. Già guarda, inoltre, ai giochi invernali del 2030 che si terranno a casa sua, tra le Alpi francesi, proprio laddove ha scoperto la velocità della discesa: «Voglio continuare a lavorare sodo, a mettermi alla prova ogni giorno, a dare il meglio di me stesso, per arrivare il più in alto possibile». Il giovane è però consapevole che un giorno potrebbe doversi fermare: «La federazione non è ricca e lo sci costa molto. La mia famiglia non può fare più di quello che ha fatto per me fino ad oggi».
Per il momento, però, Richi non ha nessuna intenzione di rinunciare al sogno di portare la bandiera blu e rossa dell’isola di Hispaniola anche alla Coppa del Mondo. Di regalarsi l’emozione di un trofeo da alzare al cielo, con speranza e orgoglio, anche per i bambini haitiani stremati dalla fame e dalla violenza. «Sono un ragazzo fortunato – insiste – ma non dimentico da dove vengo». L’atleta sottolinea che vorrebbe fare qualcosa di più per chi, ad Haiti, ci è rimasto: «Mi piacerebbe fare in modo che tutti, lì, abbiano la possibilità di praticare sport». Il modo forse più sano di scappare alla disperazione. Lo sport, questo insegna un aneddoto della vita di Richi, unisce e riavvicina le anime simili anche a distanza di anni. «Tempo fa – racconta – ho conosciuto una schermatrice francese che, poi, ho scoperto aveva origini haitiane. Eravamo coetanei ed entrambi adottati. Quando gli ho chiesto di mostrarmi qualche foto della sua infanzia, l’ho notato subito: tra quei bambini, accanto a lei, c’ero anch’io».