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 2025  maggio 17 Sabato calendario

«Spero che Leone riporti la musica sacra nelle chiese. E i concerti in Vaticano»

Maestro Muti, quattro anni fa, alla vigilia del suo ottantesimo compleanno, lei disse al Corriere che sperava di sottrarsi presto alla decadenza della cultura italiana e alla trascuratezza della tradizione musicale. Per fortuna non aveva fretta.
«Ma la decadenza e la trascuratezza continuano. Pensi che nessuna delle grandi istituzioni musicali italiane ricorderà i duecento anni della morte di Salieri».
Ma Salieri è un minore...
«Cosa!? Antonio Salieri è un grandissimo! Ebbe solo la sfortuna di essere contemporaneo del più grande musicista che l’umanità abbia mai avuto: Wolfgang Amadeus Mozart».
Mozart è il più grande?
«Quando chiesero a Rossini chi fosse il più grande, rispose: Beethoven. “E Mozart?”, gli chiesero. “Mozart” replicò Rossini “è al di sopra di qualsiasi classifica”».
E per lei?
«Per me Mozart è una delle prove dell’esistenza di Dio. Chiunque sarebbe impallidito di fronte a lui».
E Salieri ne era gelosissimo.
«Frottole. Dicerie che già circolavano nella Vienna del tempo, finite in un piccolo scritto di Puskin e riprese dal film di Forman, che fa di Salieri addirittura l’avvelenatore di Mozart».
Milos Forman in Amadeus immagina pure che sia stato Salieri a commissionare a Mozart il Requiem: «Confutatis maledictis...».
«...Flammis acribus addictis... Ma non è vero. È un film tecnicamente ben fatto, che però ha diffuso la leggenda nera sul conto di Salieri, e ha finito per diffamare anche Mozart, trasformato in un buffone».
Perché, non era di carattere giocoso?
«Sì, ma a differenza di quel che si vede nel film non ridacchiava in modo isterico, come un matto. Era uomo di alto intelletto e profonda spiritualità».
L’appello alla sobrietà
«Vorrei insegnare a tutti i cori a cantare senza smorfie e senza languore»
E Salieri?
«È fondamentale nella storia della musica. Fu l’ultimo italiano a servire come maestro alla corte degli Absburgo. Fu maestro di artisti di immenso prestigio come Beethoven, Schubert, Meyerbeer, Liszt. Scrisse in tutta la sua vita quaranta opere. Maria Teresa commissionò a lui l’opera di apertura del nuovo teatro di Milano: La Scala. Titolo: l’Europa riconosciuta».
Attuale.
«Dopo i lavori di restauro, nel 2004 riaprii la Scala proprio con l’Europa riconosciuta di Salieri. Dopo le opere si dedicò alla musica sacra, e scrisse cento lavori. Di sé disse: “Non so se interesserà il mondo, ma la musica sacra che ho scritto è dedicata a Dio e al mio imperatore”».
Che artista era Salieri?
«Animato da due elementi fondamentali: la devozione e l’umiltà. Un modo di scrivere apparentemente semplice; ma la semplicità serve a sottolineare l’aderenza del suono al servizio della parola dedicata a Dio. Il suo stile sacro corrisponde molto al primo Haydn. Salieri è una figura importantissima, rovinata prima da Puskin e poi dal film di Forman».
È ufficiale: Salieri non avvelenò Mozart, e neppure lo invidiò.
«Al contrario. Ci sono i documenti, nella biblioteca di Vienna del Musikverein, a testimoniare che Salieri aiutò la famiglia di Mozart, in particolare un figlio di Amadeus che si dedicò alla musica, purtroppo senza ereditarne l’incomparabile talento».
E l’Italia lo ignora.
«Del tutto. Tranne qualche iniziativa nella sua città, Legnago. L’indifferenza delle grandi istituzioni è grave. Mi pare l’ennesimo caso di dimenticanza della nostra storia, della nostra identità. Per fortuna Vienna a Salieri dedica grande attenzione. Io dirigerò due concerti, oggi e domani. Una cantata, “Lob der musik”, lode alla musica, e la grande Messa in re maggiore. Ma dirigerò anche Mozart, in particolare la sua ultima sinfonia, Jupiter. Riconcilio i due rivali, metto insieme l’avvelenatore e la vittima (Muti sorride). Anche se in realtà Salieri fu colui che più di ogni altro comprese la grandezza di Mozart. Ed è stato anche un grande pedagogo e un grande moralista in musica».
Cosa significa?
«Pensi che scrisse una lettera, che io fotocopiai e misi nel mio ufficio all’orchestra di Chicago, in cui raccomandava ai musicisti e ai cantanti di astenersi dal fare musica in maniera “languida e smorfiosa”. Era molto severo nei confronti del fraseggio musicale».
Oggi c’è qualcuno che canta in maniera languida e smorfiosa?
«Tanti. Oggi Salieri sarebbe furioso. Per questo ho lanciato un appello ai cori di tutta Italia, cui vorrei insegnare a cantare in maniera senza smorfie e senza languore. Il motto di questa chiamata è “cantare amantis est”».
Cantare è proprio di chi ama.
«Parole di sant’Agostino. Ora per fortuna abbiamo un Papa agostiniano. Che certo conosce quest’altra frase di Agostino: “Bis orat qui cantat”, chi canta prega due volte. I primi di giugno avrò a Ravenna più di tremila persone da tutta Italia, che vengono per essere guidate a cantare tre cori di Verdi: dal Nabucco, dai Lombardi e dal Macbeth».
Quali persone?
«Non cori dei teatri. Gruppi corali che hanno risposto alla chiamata da tutta l’Italia, sotto il motto “cantare amantis est”».
Le piace Papa Leone?
«Moltissimo. Mi fa ben sperare per il ritorno della musica sacra in chiesa».
Bergoglio non la amava?
«I concerti in Vaticano sono pressoché spariti. Gli ultimi furono con Benedetto XVI. Non si è fatto nulla per riportare la grande musica sacra rinascimentale e gregoriana nelle chiese, dove ancora regnano sovrani strimpellatori e testi imbarazzanti».
Non le piacciono le messe beat?
«Con le schitarrate? Per carità!
Non credo di essere l’unico fedele che in chiesa preferirebbe ascoltare Palestrina. Monteverdi. Luca Marenzio. Gesualdo da Venosa. E il canto gregoriano. Non è solo mancanza di fede; è mancanza di spiritualità. I grandi santi della cristianità andavano incontro al martirio cantando, non strimpellando. Il declino della musica in chiesa è uno degli aspetti di un fenomeno più ampio».
Quale?
«In Occidente c’è da decenni un crollo del sacro. Spero proprio che Papa Leone possa riportare questo concetto di sant’Agostino nelle chiese: cantare è proprio di chi ama».
L’omaggio a Vienna
«Dirigo due concerti in onore di Salieri. Non è vero che ostacolò Mozart, anzi lo aiutò»
Come mai secondo lei Papa Leone piace tanto?
«Non do giudizi. Spero in una Chiesa più spirituale, che porterà nuove vocazioni. Spero in un Papa che porti la pace. E poi è nato a Chicago, città che amo e di cui dirigo l’orchestra, e ha un nonno piemontese. Come lei sa, “prevost” in dialetto piemontese vuol dire prete. Ma non mi faccia dire altro. In Italia siamo stati tutti virologi, ora tutti vaticanisti. Lasciamo lavorare il Santo Padre»