Corriere della Sera, 17 maggio 2025
Noi e i tedeschi: i conti diversi con il passato (e le ricadute)
Mi domando: ma se la Germania, a differenza dell’Italia, ha davvero fatto i conti, lei sì, con il suo passato nazista – secondo quanto da anni ci vuole far credere una diffusa cultura di sinistra¬(anche storica ahimè) – come mai oggi in quel Paese c’è un florido partito nazistoide, antidemocratico, estremista, razzista, filoputiniano- trumpiano, che minaccia di diventare il primo partito, e invece qui da noi nulla di tutto questo? Come mai qui da noi, invece, un partito che pure ha le sue lontane origini nel fascismo governa da tre anni in un modo che solo i comici (dunque per far ridere…) giudicano una minaccia per la democrazia?
A vanzo una possibile risposta: la differenza attuale tra noi e la Germania dipende dalla saggezza con cui nell’immediato dopoguerra i partiti della nascente democrazia italiana – tutti quanti, comunisti compresi, anzi in testa – decisero di gestire l’eredità del fascismo. Ricordo in due parole che cosa accadde. Contro il fascismo di Salò un’iniziale brutale severità, inevitabile nell’immediatezza della fine della guerra civile, fu seguita da dure sanzioni giudiziarie (un centinaio di condanne a morte eseguite), tuttavia rapidamente cancellate o fortemente ridimensionate dall’amnistia firmata da Togliatti nel giugno 1946. Quanto all’epurazione – che viceversa era specificamente rivolta contro il fascismo del Ventennio – alla fine risultarono colpite in modo generalmente lieve solo poche figure apicali e non molti altri. Insomma: non si può certo dire che con i suoi nemici la democrazia antifascista italiana ci sia andata con la mano pesante. Tutt’altro: e infatti proprio questa indulgenza le viene ancora oggi rimproverata dagli eroi della venticinquesima ora, dai duri e puri di ieri e di sempre.
Ma l’antifascismo vincitore fece ancora di più. Al momento di scrivere la Costituzione esso vietò sì «la ricostituzione sotto qualsiasi forma del partito fascista» (XII disp. trans. e fin.) e tuttavia, fedele a un principio liberale, non pose alcun divieto di natura ideologica agli attori politici (cosa diversa, come si capisce, è il divieto delle organizzazioni segrete e di carattere militare nonché l’obbligo di competere con «metodo democratico»). L’antifascismo vincitore addirittura consentì che a partire dal 1953 non già i gregari piccoli e medi bensì addirittura «i capi responsabili del regime fascista» potessero, se eletti, sedere in Parlamento (ivi).
Come si spiega questa singolare apertura? Si spiega, io credo, con il fatto che gli uomini e le donne dell’antifascismo, i quali si erano realmente trovati per anni davanti al fascismo e lo avevano combattuto, sapevano bene che cosa questo fosse. Sapevano che il fascismo veniva da lontano, che in esso erano confluiti in una miscela contraddittoria speranze, delusioni, irrequietudini e anche odi e violenze che venivano da lontano, che avevano radici profonde nella vicenda italiana; che esso non era stato una pura associazione a delinquere nata per caso. Così com’erano consapevoli che se Mussolini aveva vinto ciò era accaduto innanzi tutto per i drammatici errori di cui loro stessi portavano una non piccola responsabilità, e che precisamente a motivo di tali errori il fascismo, ad esempio, aveva ottenuto l’iniziale appoggio dei nomi più illustri della cultura del Paese. A proprie spese quegli uomini e quelle donne avevano dovuto imparare, infine, che il regime, sebbene liberticida e per più versi ferocemente classista, aveva tuttavia goduto di un consenso effettivo tra i più larghi strati della popolazione.
Per tutto ciò essi decisero che il fascismo non poteva essere espulso con un tratto di penna dalla storia nazionale. Dunque ne vietarono per il futuro ogni eventuale tentativo di rinascita ma, fatto questo, ne costituzionalizzarono politicamente, per così dire, una sopravvivenza memoriale, consentendo che questa avesse una presenza legittima nella vita pubblica del Paese.
Oggi che quella decisione assiste al suo esito estremo – e cioè il governo di Giorgia Meloni – possiamo dire che si trattò di una decisione di straordinaria saggezza. Senza quella costituzionalizzazione, infatti, non ci sarebbe oggi l’ordinato arrivo al potere di una forza che, sebbene originariamente legata alla memoria del fascismo, nel tempo si è tuttavia per l’appunto costituzionalizzata finendo così per acquisire una piena legittimità democratica.
Nulla di tutto ciò è accaduto, invece, nei Paesi d’Europa dove tra le due guerre varie forme di fascismo ebbero una presenza significativa. A cominciare dai tanti Paesi dell’Europa orientale e balcanica dove naturalmente i regimi comunisti affermatisi dopo il ’45 cancellarono ogni traccia del passato. Soprattutto nulla di tutto ciò è accaduto in Germania.
Qui infatti una Costituzione varata nel pieno della «guerra fredda», a differenza di quella italiana, ha posto sotto controllo le ideologie delle associazioni politiche mettendo espressamente al bando le associazioni «dirette contro l’ordinamento costituzionale» e quelle contro «la comprensione tra i popoli»: in parole povere i partiti d’impronta comunista o nazista. Di certo nei confronti del nazismo un simile divieto era storicamente inevitabile. E magari viene da chiedersi perché nel caso del fascismo, invece, un’analoga necessità non sia stata sentita: forse a motivo dell’indiscutibile diversità esistente tra i due?
È altrettanto certo però che in questo modo nel sistema della legittimazione politica tedesca postbellica e del suo rigido conformismo è stato lasciato a destra un grande vuoto. Per effetto della postura antinazista, «obbligatoriamente democratica», della Costituzione di quel Paese, tutto il vasto e importante pensiero conservatore fiorito in Germania tra 8 e ‘900 è stato di fatto cancellato. Tutto il suo vigoroso antiegualitarismo intriso di orgoglio per la Kultur e la Bildung iscritte nella propria tradizione nazionale, tutto un grande pezzo di storia e di memoria tedesca altra cosa dal nazismo, non ha potuto avere alcuna rappresentanza politica. Un intero universo di idee, di tradizioni, se si vuole anche di pregiudizi e di accecamenti, non hanno avuto modo di misurarsi liberamente con la lotta politica democratica e con le sue regole. A destra, insomma, non ha avuto modo di crescere politicamente nulla. E il risultato è sotto i nostri occhi: quando è cominciato a crescere qualcosa, inevitabilmente ciò sta accadendo nel modo più pericoloso per la democrazia tedesca e la libertà europea.