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 2025  maggio 17 Sabato calendario

“La Napalm girl” contesa. Il World Press Photo ne sospende l’attribuzione

Un’altra bomba sulla Napalm Girl, anche se questa volta non devasta la schiena di una bambina ma solo la storia di un’immagine. Con una decisione che fa traballare un mito, il World Press Photo, l’associazione olandese che assegna ogni anno il più prestigioso premio di fotogiornalismo del mondo, ha “sospeso” l’attribuzione al fotografo Nick Ut di una delle più celebri icone della guerra del Vietnam, quella che rappresenta la fuga e il pianto disperato di Phan Ti Kim Phuc, nove anni, bambina con la schiena devastata dal napalm. Scattata nel villaggio di Trang Bang l’8 giugno del 1972, era stata premiata dal Wpp l’anno successivo, vincendo anche il premio Pulitzer.
Ma, mezzo secolo dopo, la paternità dello scatto viene pesantemente messa in dubbio. Il caso è esploso lo scorso gennaio, al Sundance Film Festival, dove è stato presentato un lungo documentario-inchiesta, The Stringer di Bao Nguyen, fortemente sostenuto da un altro celebre fotografo, Gary Knight, fondatore dell’agenzia VII. Sulla base di una serie di testimonianze, e perfino di misurazioni trigonometriche di tipo forense, il film sostiene che il vero autore della fotografia non poté essere Nick Ut, giovane fotoreporter dell’Associated Press, ma fu invece il finora sconosciuto Nguyen Thành Nghe, che non era neppure un fotografo ufficiale ma un autista ingaggiato dalla troupe della Nbc. Il suo rullino sarebbe stato portato alla Ap di Saigon dal fratello e comprato dal direttore Horst Faas per venti dollari. Le foto sarebbero poi entrate in camera oscura contemporaneamente ai rullini di Ut e qui, per confusione involontaria, oppure, come lascia intendere il documentario, per la scelta di Faas di privilegiare il fotografo di punta della sua agenzia, lo scatto destinato alla celebrità fu firmato Nick Ut. La testimonianza decisiva è quella di Carl Robinson, allora editor alla Ap di Saigon, che pure, pochi mesi dopo, brindò assieme a Ut per festeggiare il suo premio Pulitzer, e per mezzo secolo evidentemente ha custodito in segreto la sua versione. Apparso a sorpresa al Sundance, l’ormai anziano Nghe, che vive in America, ha laconicamente confermato: «Sì, sono io l’autore di quella foto». Anche se nella caotica storia spunta perfino un terzo possibile autore, Hu?nh Công Phúc.
Scandalo, irritazione, controffensiva. L’Ap in questi mesi ha elaborato ben 69 pagine di contro-rapporto dettagliato per smontare ricostruzioni basate solo su testimonianze vecchie di decenni. Nick Ut ha reagito con sdegno: «Sono l’autore di quella foto, questa controversia è molto dolorosa per me», e la stessa Kim Phuc, che da tempo vive in Canada ed è ambasciatrice di buona volontà dell’Onu, rimasta sempre in calorosi rapporti con Ut, che dopo lo scatto la soccorse e la portò in ospedale salvandole la vita, si è risolutamente rifiutata di partecipare alla sconfessione «malevola e falsa» del suo grande amico.
Ma anche Ap non sembra più essere graniticamente convinta della versione finora consolidata. In un secondo rapporto, pur confermando che «non ci sono prove certe» per modificare la paternità della fotografia, ha definito soltanto «possibile» che sia stato Nick Ut a scattarla, concludendo che per un cambio di attribuzione occorrerebbero «prove più certe». Ma ora entra in scena il Wpp, e sulla base di una propria indagine che sarà resa pubblica oggi, toglie il nome di Ut dal suo medagliere (dove ora la fotografia, titolata ufficialmente Il terrore della morte, figura come di autore anonimo), pur precisando, per voce di Joumana El Zein Khoury, la direttrice, che «la fotografia in sé non è contestabile, e resta un documento reale di quanto accadde quel giorno in Vietnam».
Cosa accadde? Che il villaggio di Trang Bang, poche decine di chilometri a nord di Saigon, fu bombardato per errore dal “fuoco amico” dell’aviazione sudvietnamita, convinta che vi si nascondessero dei vietcong: c’erano invece solo donne, anziani e bambini che, sentiti arrivare i cacciabombardieri, si erano rifugianti in un tempio buddista. Inutilmente. Con la schiena devastata, faticosamente curata con decine di operazioni, la piccola Kim Phuc era poi diventata dopo la fine della guerra una sorta di bandiera del governo comunista vittorioso, fino a quando, non potendone più della pressione sulla sua vita, era fuggita in Canada. E dire che avremmo anche potuto non vedere mai quella foto: le regole dell’Ap vietavano di diffondere «nudi frontali integrali», e fu proprio Faas a impuntarsi perché venisse distribuita ugualmente. Insomma, diede fastidio a molti, l’esistenza di quell’immagine. Che ancora oggi, chiunque sia stato incaricato dal destino di realizzarla, resta duramente, indiscutibilmente la testimonianza di una nuda ingiustizia della storia.