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 2025  maggio 16 Venerdì calendario

Intervista a Massimo Moratti

Presidente Moratti, come festeggia i suoi 80 anni?
«Starò con la mia famiglia, siamo in tantissimi. Non credo abbiano organizzato qualcosa, me ne starò tranquillo con figli, nipoti, cognati. Siamo una ventina di persone, più le mie tre sorelle e le loro famiglie».
Se dovesse isolare due ricordi della sua vita, quali isolerebbe?
«Una volta dovevo incontrare Yamani (ex Ministro dell’Industria e dei Minerali dell’Arabia Saudita, ndr) per un contratto piuttosto buono. Lo aspettavo in questa salettina, e ho preso una noce: in quel momento lui è entrato, mi ha visto con la noce e mi fa: ‘Tenga in mano che porta fortuna!’. E mi portò fortuna».
L’altro ricordo?
«Certamente le soddisfazioni che ho avuto alla fine con l’Inter. Le isoli perché sono un privilegio, vivere in prima persona come responsabile una cosa di quel genere».
Quando suo padre comprò l’Inter lei quanti anni aveva?
«Dieci. Eravamo già una famiglia tifosa».
Tifo trasmesso da mamma Erminia?
«Sì. I miei prima della guerra vivevano a Roma per lavoro, ci fu una partita tra Lazio e Inter, andarono a vederla e mamma teneva per l’Inter. Da lì papà si è innamorato».
Quindi quando suo padre comprò l’Inter lei andava a scuola.
«La notizia dell’acquisto dell’Inter l’ho avuta mentre ero in un collegio in Svizzera dove per un po’ di anni andavo un mese all’anno, a giugno. Mi scrisse una lettera mia sorella dandomi la notizia. Papà poteva far tutto. Noi partecipavamo molto. Una sera chiamò Herrera e gli disse di venire a casa perché stava perdendo troppe partite. Lo chiamò per dirgli: ‘Guarda adesso fai così!’, era piuttosto deciso. Ed eravamo lì anche noi. Quella volta lì dettò la formazione a Herrera».
Da ragazzo anche lei giocava a calcio, un fantasista.
«Il miglior complimento che ho letto sui giornali l’ho avuto da Bruno Longhi, che ha detto che avevo un sinistro eccezionale. Quella giornata sono stato più felice che mai. Giocavo a pallone nella casa in campagna, per tanti anni. C’era un prato, con due porte, senza le strisce. Veniva mezza Milano, ex giocatori e anche qualcuno ancora in attività: Facchetti era fisso, poi Rivera, Suarez..».
Rivera veniva in casa del nemico?
«Sì, ma preferiva non farlo sapere in giro».
Poi, l’Inter l’avrebbe ricomprata lei. Con lei sarebbe nata la locuzione “Pazza Inter”, ma sarebbe arrivato anche il triplete. Il primo acquisto?
«Zanetti. L’ho fatto io direttamente. Ma il più eclatante è stato Ronaldo».
Il giocatore che le è rimasto nel cuore.
«È il più forte in assoluto che ho preso. Poi era simpatico. L’ho conosciuto in questo ufficio, era venuto a trovarmi un paio di anni prima di acquistarlo. Era sveglio da matti. Uno che gioca così, con quella velocità, ha un cervello che funziona bene».
E il giocatore che avrebbe voluto portare all’Inter?
«Cantona. Ho preso l’Inter per comprare Cantona. Ci ho provato, e l’ho anche preso. Andai a vedere una partita a Londra tra il Manchester United e il Crystal Palace, proprio la partita in cui lui menò un tifoso. Attorno a me erano tutti disperati, io ero convinto fosse una fortuna. A chi lo doveva portare in Italia dissi: ‘Non mollarlo mai, stagli sempre vicino, portalo qua e poi vediamo’. Ma il Manchester gli allungò il contratto, nonostante la condanna».
Fece firmare Figo su un tovagliolo di carta.
«Venne a Forte dei Marmi da me. Eravamo a un bar, seduti fuori a un tavolino e avevamo preso due panini, con cui ti portano quella carta oleata. In dieci minuti ci siamo messi d’accordo. Lui disse: ‘Presidente, ma se domani vado da Guelfi, il mio amministratore, cosa gli porto?’. Allora gli dissi: ‘Scriviamo tutto su questo tovagliolo, cifra e firme’. Lui con questo tovagliolo è andato a firmare il contratto»
.
Adesso l’Inter è di nuovo in finale di Champions. Può farcela?
«Sono scaramantico. È una bella squadra, interessante da tanti punti di vista».
Si sarebbe ingelosito se avessero centrato anche loro il Triplete?
«Da un certo punto di vista sì, ma prima o poi qualcuno lo farà, e allora meglio sia l’Inter. Sono contento di essere quello che ha fatto il Triplete, ma da tifoso istintivamente voglio vincere».
Se l’Inter vincesse la Champions, che trionfo sarebbe?
«Il risultato di tanta fatica, una squadra che non pensavamo venisse così bene e invece sta dando risultati meravigliosi».
Sarà a Monaco per la finale?
«No, la vedrò a casa».
Ma la sua vita non è stata solo calcio e industria. La politica ha bussato alla sua porta?
«Mi hanno proposto anche di fare il ministro, ma non l’ho mai preso seriamente in considerazione. Il sindaco invece avrei potuto farlo, mi è capitato tante volte di essere indicato da un gruppo. Devo essere sincero, forse sarebbe stato bello. Però ho sempre pensato che fosse più serio continuare a dedicarsi al lavoro».
Ma lei politicamente dove si colloca?
«È chiaro che io non sono di estrema destra»
Nell’estrema destra inserisce Giorgia Meloni e Matteo Salvini?
«Salvini un po’ sì. Se ti hanno insegnato ad amare la libertà, o hai avuto esempi come mio papà è difficile condividere le sue tesi».
E Meloni?
«Trovo che stia lavorando come una pazza. Non mi è antipatica, tutt’altro. Lì non ne faccio un discorso di estrema destra, c’è un ruolo, presidente del Consiglio che deve badare a tutto. E forse anche lei si dimentica di essere di destra».
Moratti si definirebbe di sinistra?
«Molto attento alle necessità degli altri. Se questo significa essere di sinistra, lo sono».
E con Berlusconi parlavate di politica?
«Solo una volta, quando si parlava di invadere l’Iraq. L’ho incontrato a San Siro e gli ho detto: Ma è vera sta st..a? Ma è il contrario di quello che dovremmo fare, noi italiani in quei Paesi siamo visti come mediatori. È un errore gravissimo, l’Iraq non ha le armi sotto terra, sei intelligente lo sai benissimo. E lui: ‘Massimo, ma facciam finta eh’».
Ha saputo? San Siro sparirà.
«Credo sia un affare per le società, ma è chiaro che mi dispiace per San Siro, ha un significato per Milano. Non è vero che non sta più in piedi, è una balla”.
A proposito, le piace questa Milano?
«Sì, è una città piena di cose importanti. Non bisogna lasciarsi vincere dalla nostalgia, ma il fatto che sia così vivace da un punto di vista mondano, porta via doti un tempo radicate, come la capacità di accoglienza. Prima Milano era una città che ti metteva in condizione di trovare una strada».
Il bilancio per gli 80 anni: è contento di quello che ha fatto finora nella sua vita?
«Uno pensa sempre che poteva far di più o meglio, e non lo dico per finta modestia. So che da qualche parte ho sbagliato. Sono stato fortunato grazie al mio lavoro, è stato entusiasmante girare il mondo tanto quanto vincere campionati e coppe con l’Inter. Potevo dare di più, ma non cambierei nulla».
Se potesse dire una cosa oggi a suo padre, cosa direbbe?
«Lascerei parlare lui».