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 2025  maggio 16 Venerdì calendario

Migranti, i governi non incidono sui giudici

È uscita la notizia che il governo danese, con l’appoggio di quello italiano, starebbe preparando una protesta contro l’orientamento adottato dalla Corte europea dei diritti umani nella decisione dei ricorsi presentati da migranti contro i governi per provvedimenti di espulsione. La notizia è ancora molto preliminare e generica. Come sarà redatta la protesta? Quali altri governi la condivideranno? A quale istituzione verrà indirizzata? Alla Corte o al Consiglio d’Europa di cui la Corte è espressione? Al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa o alla sua Assemblea parlamentare?
Vi sono precedenti che possono essere richiamati e che hanno portato alla riforma della Convenzione europea dei diritti umani. Per esempio, con la introduzione nel suo Preambolo del principio di sussidiarietà dell’intervento della Corte e il riconoscimento del margine di apprezzamento nazionale nelle modalità di tutela dei diritti e libertà previsti dalla Convenzione. Si tratta di un principio già elaborato dalla Corte, ma gli Stati parte della Convenzione hanno voluto rafforzarlo enunciandolo espressamente. La Corte europea tiene conto del c. d. consenso europeo, in funzione dell’essenziale armonia complessiva nella protezione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione. Ma lo scopo essenziale della Convenzione, fin dalla sua approvazione nel 1950, è quello di escludere da parte degli Stati interpretazioni unilaterali. Ed è per questo che la Convenzione assegna alla Corte la competenza per “tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione”. E la Corte, essendo un giudice, è indipendente ed esterna rispetto agli ordinamenti degli Stati. Essa applica i principi del diritto internazionale, esplicitati dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Tra essi, il criterio dell’oggetto e dello scopo della Convenzione, identificato nella protezione concreta ed effettiva dei diritti fondamentali, mediante un sistema collettivo di tutela.
Protetto è ciascun individuo, quando venga a trovarsi nel territorio di giurisdizione di uno Stato europeo. Fondamentale è il principio che la Convenzione, con i suoi diritti e libertà, riguarda anche gli stranieri. Accade quindi che l’essere oggetto di un provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato, sia in conflitto con uno dei diritti della Convenzione. E la Corte da tempo ha espresso criteri che la orientano nel valutare la giustificazione e la proporzione del provvedimento di espulsione del singolo straniero ricorrente. Si tratta di criteri che considerano la differenza esistente tra provvedimenti conseguenti alla condotta dello straniero (in particolare la commissione di reati più o meno gravi) oppure decisioni che derivano da generali politiche migratorie assunte dagli Stati.
Ma sempre la decisione della Corte è motivata dalla valutazione della specifica situazione del ricorrente. Particolarmente significativa è la sentenza, che sarebbe all’origine della reazione danese rispetto all’orientamento della Corte. Si tratta della recente (unanime) sentenza nella causa di Zana Sharafane contro la Danimarca. Il ricorrente era oggetto di espulsione, decisa dai giudici danesi con divieto di rientrare in Danimarca per sei anni. L’espulsione accompagnava una condanna a due anni e sei mesi di reclusione per spaccio di droghe. La Corte ha ritenuto che nel caso concreto il divieto di rientro fosse senza termine, per effetto della legislazione danese per chi si trovi nelle condizioni del ricorrente. E, per quella mancanza di termine, ha ritenuto che l’espulsione fosse sproporzionata. Il ricorrente, curdo irakeno nato e cresciuto in Danimarca ove viveva con genitori e parenti, parlava danese e anche curdo, ma non era mai andato in Irak, paese con cui non aveva alcun legame. La sentenza della Corte europea ha riconosciuto la violazione del diritto del ricorrente al rispetto della vita privata e familiare radicatasi in Danimarca (senza però alcun indennizzo), per la sproporzione del divieto di rientro, sostanzialmente senza termine dopo l’espulsione. Il caso mette bene in evidenza il carattere “casistico” della giurisprudenza della Corte europea. Le sue sentenze valgono per il caso specifico: quella del Sharafane è evidentemente legata al dettaglio della posizione individuale. La Corte è stata istituita per proteggere “diritti concreti e effettivi, non teorici e illusori”. Certo, quando si tratta di valutare la proporzione di una interferenza statale in un diritto della Convenzione la decisione può essere discutibile. Salvo i casi estremi, lo è in ogni specifica vicenda. Ma il principio della proporzione è centrale in ogni aspetto della Convenzione.
L’iniziativa danese riguarda la giurisprudenza della Corte in materia migratoria. Essa renderebbe impossibile o difficile la messa in opera delle politiche proprie dei governi. E sarebbe inadeguata rispetto all’attuale realtà delle migrazioni. In realtà la Corte è stata istituita per tutelare singoli individui in relazione a specifiche vicende. I governi si occupano di altra cosa, come sono le politiche generali, in questo caso quella migratoria. La prospettiva è diversa, anche se evidentemente vi sono connessioni. Un fenomeno come quello migratorio è fatto di tanti individui migranti, ma gli strumenti che i governi e i giudici sono chiamati ad utilizzare sono diversi. Ineliminabili gli uni e gli altri, così come gli effetti che ne derivano. Il rispetto per le persone e per i loro diritti, anche quando entra in conflitto con le leggi o le politiche degli Stati, è uno specifico carattere dell’Europa. Identità che la caratterizza e differenzia da ogni altra parte del mondo. Singole sentenze o l’orientamento generale adottato dai giudici europei sono certo oggetto di legittime critiche e proposte di modifica. In fin dei conti sono gli Stati che hanno redatto e approvato la Convenzione europea dei diritti umani. Così gli Stati possono modificarla. Purché il risultato non finisca con l’escludere il significato della titolarità dei diritti e libertà fondamentali da parte di ciascuna persona, anche nei confronti degli Stati