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 2025  maggio 16 Venerdì calendario

Ornella Vanoni: "Maraini mi incanta da sempre. Cacciari cucina bene il pesce"

Ornella Vanoni ha sdoganato i novant’anni per la gioventù. Forse nemmeno lei pensava di tornare – proprio adesso e dalla poltrona di «Che tempo che fa» – una diva del popolo, un’icona per le ultime generazioni, la nonna che tutti vorrebbero avere. Così chic nei suoi abiti morbidamente strepitosi, sempre pronta alla battuta e alla curiosità, anche se talvolta ci scappa una breve ma comprensibile lamentazione per quest’età da celebrare se viverla è una bellezza, se hai quella testa lì da ragazza che si porta dietro con leggerezza e ironia tutto ciò che di bello e di brutto ha vissuto. Ci vuole una vita per imparare. Ornella la racconta così bene, la sua, in Vincente o perdente («Il titolo è mio»), autobiografia appena uscita con La nave di Teseo, scritta da lei con Pacifico, nomen-omen di un artista notevole, e scrittore, che godendo della sua stima e della confidenza, l’ha accompagnata in quest’avventura senza microfono come insieme scrivessero una canzone. Ne parlano oggi al Salone del Libro, con Stefano Senardi discografico mai in riposo. Con lei, c’è sempre tanto da dire.
Questa quarta fase della vita le sta offrendo altre sorprese, Ornella.
«Il giorno che non ho più niente da dare o ricevere voglio morire. La vecchiaia è lunga e triste, vedo il mio amico Arnaldo Pomodoro, 98 anni, che da quando si è rotto il femore non esce più. Mi fa molta tristezza. Mi ricordo una zia, a 97 anni, con corpo immobile e mente viva. Insomma».
Canterà ancora, naturalmente. La voce è chiara, sempre unica.
«Posso cantare, ma non più un concerto di due ore. Un coach? Quando ho cominciato non esisteva, ora ogni tanto ne ho uno per i vocalizzi. Dischi no, ma uscirà un singolo quest’anno».
Con Pacifico vi intendete, lo si evince dalla lievità elegante delle sue memorie.
«Pacifico è un santo con una sensibilità enorme, è stata lunga, ci ha messo mesi. Ho scelto lui, pensi solo a Un sorriso dentro al pianto di cui ha scritto il testo. Ha accettato perché credo mi stimasse».
Cosa sta leggendo?
«Mi piace Cacciari, si appoggia a Van Gogh nel suo saggio. Ora vive a Milano, siamo molto amici. Non parla di politica, cucina benissimo il pesce».
Nel suo libro c’è una bella botta a Milano: «Non la riconosco più».
«Sta perdendo l’anima, è diventata più stronza. Se avessi la forza di fare un trasloco andrei a Roma, un bel terrazzo e via. Poi ci abita Dacia Maraini, la sua dolcezza e il dramma mi hanno sempre incantata. Invece, sto qui. Non ho più amici. Pensi a Fabrizio De André, a Luigi Tenco. Pensi a Jannacci, a cos’ha fatto Gaber per il teatro-canzone. Non ci sono più».
Ha raccontato nel libro, come fosse un film, la sua storia con Strehler, lei ragazza, lui impazzito d’amore. Ma di Gino Paoli poche righe, eh.
«Ne ho parlato già molto, è stato il vero grande amore. Siamo ancora amici. Anch’io vorrei una moglie come la sua, la Paola. È stato fortunato, lo ha voluto lei a tutti i costi. Ma lei è modenese... tutto dipende dalla terra, piatta grassa che rende bene. I liguri per colpa delle terrazze cui sono costretti sono chiusi e tirchi,
dipende sempre dal terreno».
Scrive che ha tatuato la D di depressione su petto...
«Ma non per davvero, è dentro, dentro. Mi sarebbe piaciuto caso mai tatuarmi i nomi dei nipoti, ma ormai».
Ha anche raccontato perché ha dovuto lasciare il suo unico figlio piccolo ai genitori, e il tempo che ci ha messo a recuperarlo.
«Con Ardenzi eravamo già separati, mi ha chiesto di aiutarlo perché altrimenti sarebbe fallito, poi è fallito comunque. Mi son rimessa a lavorare, era molto più dura di oggi. Era un periodo triste, tristi gli alberghi mica come adesso. Non mi piaceva, avevo il callo sul dito per colpa della valigia».
Ha fatto una gustosa descrizione di Fabio Fazio che l’ha riportata in scena.
«L’ho chiamato: “Parleresti un po’ con me, voglio fare radio, o tv”. Lui, intelligente e educato, mi ha voluta senza condizioni. Posso parlare di tutto, percepisco la simpatia. Sono a mio agio, salgo sull’auto alle nove e mezza e alle undici sono a casa. È l’unica trasmissione dove non si discute e non si litiga, ci sono sempre ospiti bestiali Un giorno squilla il cellulare: “devi venire perché c’è Achille Lauro”. È strano lui, quando canta è sempre così triste. Marracash? Piace a tutte le donne che son donne, emana una sensualità pazzesca, è poi è uno che legge dunque scrive bene».
Ornella poi nota: «Dalle canzoni sono sparite le persone. Sempre io, io...»
«Lucio Dalla cantava di Anna e Marco, di Futura, della ragazza ottimista e di sinistra. Uso raramente la parola genio, ma lui lo era».
E adesso?
«Adesso sono pazza di Chico, il cagnolino del papà star dei social, che parla. Con tutta la roba orrenda che vediamo, il mio lato infantile si riprende, non è una roba da cretini, è intelligente. Lui era un chitarrista, durante il Covid non mangiava, poi si è inventato questa voce».