Il Messaggero, 16 maggio 2025
I grandi eventi e l’effetto sul Paese
La plurisecolare questione meridionale potrà beneficiare almeno un po’ – altro che lagne, rimbocchiamoci le maniche! – dell’arrivo per la prima volta in Italia, a Napoli nel 2027, della Coppa America. Si tratta per il Sud e in generale per il nostro Paese che sta dimostrando di sapere prendere il vento nelle proprie vele, e basti vedere tutto il know how da navigatori globali che stiamo mettendo nella gestione a Roma del passaggio da un papato all’altro, di un’occasione di progresso infrastrutturale (moli, officine, alberghi), turistico, occupazionale, economico e anche politico. Perché i grandi eventi, se ben concepiti, ben praticati e gestiti con equilibrio innovativo tra accoglienza e efficienza, accrescono lo standing internazionale delle nostre città e del nostro Sistema Paese e quindi la competitività dell’Italia e la sua capacità di influire sulle scelte mondiali che dipendono dalla forza dei singoli Stati in rapporto con i vari partner e concorrenti.
C’è una potenza che si chiama soft power e che è appunto quella apparentemente non hard e fatta di sapienza, vocazione culturale, relazionale, diplomatica, di organizzazione di fenomeni anche sportivi (ah, avere rinunciato alla possibilità di Olimpiadi a Roma!). Questo tipo di potere, incentrato sulla persuasione e diverso dall’aspetto militare e dalla forza classica, ha tutte le armi per rivelarsi determinante nel mondo contemporaneo. Nel senso che chi sa meglio essere attrattivo nel settore dello scambio culturale, dell’identità storico-artistica, della bellezza, dell’attivazione di curiosità e dell’ospitalità di persone del mondo che girano, vedono, partecipano, spendono e ricordano (sarà un’indimenticabile esperienza vedere le barche dei campionissimi della vela nel Golfo di Napoli) può rivaleggiare con chi ha gli eserciti e i cannoni.
Il mondo di pace non solo ha bisogno dello sport, che è un vincolo di civiltà, ma ha in generale la necessita di occasioni di scambio e di mescolanza. Questo sono i grandi eventi. Un doping della cultura dell’incontro e un volano di crescita da tutti i punti di vista. L’Italia in questo è all’avanguardia, tra il Giubileo in corso e quello del bimillenario della nascita di Cristo, nel 2033. In mezzo, tanti altri appuntamenti, come le Olimpiadi invernali Milano-Cortina il prossimo anno e che peccato che l’Expo 2030 non se la sia aggiudicata Roma che pure, come sta dimostrando in queste settimane, ha un talento nel governare i grandi flussi e i grandi appuntamenti che poche altre metropoli al mondo – non si è città universale per sbaglio – riescono a vantare.
Ecco, si diventa influenti con i grandi eventi. E non è soltanto una questione d’immagine ma anche di sostanza quella riguardante l’organizzazione di appuntamenti, sportivi e non sportivi, che fanno identità e fungono da calamita e megafono del Made in Italy. Danno la possibilità al Paese ospitante (la Casa Bianca ha deciso di puntare moltissimo sulle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028, e nel 2026 i Mondiali di calcio si giocheranno negli Usa, in Messico e in Canada) e alle sue metropoli di piazzarsi al centro dell’interesse planetario e di modernizzarsi. È stato così per Roma giubilare del 2000, per la rinascita di Barcellona con le Olimpiadi del 1992, con i Giochi del 2012 che hanno trainato la nuova forza di Londra, per non dire delle Olimpiadi di Parigi 2024 che hanno innescato la trasformazione urbana e un boom turistico impressionante. Non è un caso che l’Arabia Saudita abbia fatto di tutto per aggiudicarsi l’Expo 2030. Così si cambia la narrazione, e spesso la sostanza, di un Paese.
Nel caso italiano, c’è l’anti-immobilismo nei grandi eventi e anche un’indicazione politica che dovrebbe valere su tutto. Ossia quella, vedi il cosiddetto Metodo Giubileo, della cooperazione istituzionale contro i pregiudizi ideologici. Basti pensare che, per Barcellona 92, la corona di Juan Carlos e gli autonomisti catalani, ossia i nemicissimi, lavorarono insieme. Accoglienza, regolazione, sintonia: così si vince la partita del soft power. E guarda caso, questa volta, il 26 e 27 maggio, proprio a Napoli si sta per tenere la riunione annuale del Soft Power Club, con il principe di Giordania e decine di ospiti da tutto il mondo che parleranno di energia, commercio, Mediterraneo, Medio Oriente. Francesco Rutelli, che è l’anima di questa iniziativa, osserva: «Il soft power è sempre esistito. Basti pensare a come una canzone, “Buonasera, signorina”, dell’italo-americano Louis Prima famosissimo in tutto il mondo negli anni 50, mentre Napoli era ancora piena delle tracce dei bombardamenti della seconda guerra mondiale abbia innescato il desiderio del Golfo cantando di una storia d’amore nello specchio di mare di fronte a Capri. Adesso il turismo di massa e auspicabilmente di qualità, i social che aiutano la desiderabilità di un luogo, le tecnologie che oltre alla narrazione di una città ne favoriscono la gestione del traffico e della vivibilità fanno capire quanto il soft power sia un fattore non sentimentale ma concreto affinché una città vinca o, se non supportata da innovazione e Sistema Paese, perda».
Intanto, il Fondo Monetario Internazionale ha stilato la classifica dei Paesi più attrezzati nella cultura dell’attrattività. Naturalmente, l’Italia è ai primi posti. E guai a stupirsi.