Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 16 Venerdì calendario

Tripoli riconosce la Corte penale: l’Italia dovrà catturare i ricercati

La definitiva rottura con le fazioni ribelli ai clan del governo centrale di Tripoli viene annunciata nel pomeriggio dalla Corte penale internazionale (Cpi). Quando ormai nessuno lo riteneva possibile, la Libia ha aderito alla giurisdizione internazionale per tutti i crimini investigati dalla Procura internazionale dal 2011, anno della rivoluzione contro Gheddafi e della guerra civile, fino al 2027, dunque anche per le indagini in corso.
I mandati di cattura già richiesti sotto segreto sono almeno 6 e altri vengono esaminati dal tribunale dell’Aja. Ed è così che alle 18 di ieri il procuratore Kharim Khan ha chiesto a Tripoli di arrestare immediatamente e consegnare alla prigione dell’Aja il generale Almasri, che l’Italia aveva restituito alla libertà riportandolo a Tripoli dopo averlo arrestato a Torino lo scorso 18 gennaio. La mossa del governo di Tripoli viene interpretata da molte fonti sul posto non come un improvviso desiderio di giustizia, ma come la repentina minaccia contro i capimilizia che non vogliono essere assoggettati ai gruppi al potere.
In mattinata l’evacuazione urgente di un centinaio di italiani e 20 spagnoli, ospiti in hotel di Tripoli per partecipare alla fiera dell’edilizia, restituisce tutta l’instabilità in cui versa la Libia. Pochi mesi fa, più sperando che credendo davvero alla stabilizzazione, l’Italia aveva dato un segnale, ripristinando il volo di linea Roma-Tripoli.
Uno di quei collegamenti di cui si era servito anche il generale Almasri per raggiungere l’Europa, viaggiare da Londra al Piemonte, e godersi poi una partita di calcio a Torino, il 18 gennaio, come se non sapesse che su di lui c’erano gli occhi della Corte penale internazionale, che da più due anni lo indicava pubblicamente tra i massimi responsabili di crimini contro i diritti umani e partecipazione diretta in loschi affari internazionali. Ora Roma ha evacuato da Misurata 100 nostri connazionali che lavorano tra le sabbie mobili libiche, dove il governo nasconde il numero dei morti negli scontri di questi giorni: almeno 90 nella prima giornata secondo testimoni sul posto.
Nella notte tra mercoledì e ieri il ministro dell’interno libico Emad Trabelsi, altro nome noto alle investigazioni internazionali, aveva dato l’ordine di sedare la protesta di piazza contro il governo: almeno 6 morti e decine di feriti poche ore dopo che il premier Dbeibah aveva garantito l’entrata in vigore del cessate il fuoco e assicurato che non una mosca stesse volando su Tripoli. Il presidente della Camera libica, Aguila Saleh, ha invitato l’Alto consiglio di Stato ad avviare un negoziato per nominare un governo unificato che riesca a «ristabilire la sicurezza e la pace». Saleh, acerrimo nemico di Dbeibah, ha denunciato l’atteg-giamento del governo, «il cui mandato è scaduto a mantenere il potere, la sua continua manipolazione delle istituzioni statali e il suo desiderio di ostacolare gli sforzi della Camera dei rappresentanti, dell’Alto Consiglio di Stato e della missione Onu per mettere fine alla divisione in Libia, hanno trascinato il Paese in uno stato di lotta fratricida».