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 2025  maggio 15 Giovedì calendario

Intervista a Niko Cutugno

Niko Cutugno, qual è il primo ricordo di suo padre Toto?
«Avrò avuto sì e no tre anni, forse era un mio compleanno: ricevetti una macchinina elettrica super costosa. Fuori range per un bambino così piccolo».
Per lei Cutugno non era ancora «papà».
«No, solo a 7 anni compiuti scoprirò che mio padre era uno degli artisti italiani più famosi nel mondo».
Lei nasce nel 1989. Sua madre e Toto si erano conosciuti in aereo. Un amore improvviso.
«Lui era già sposato. Per tutta la vita non rinuncerà né a sua moglie né a me e a mia madre. Coltivò due famiglie».
Come ha scoperto di essere suo figlio?
«Dalla Settimana Enigmistica».

Cioè?
«Un pomeriggio del 1996. Sulla copertina della rivista c’era la sua foto. Mio nonno materno non resistette più, lo indicò e mi disse: “Quello è tuo padre”».
Però vi frequentavate, lui veniva a visitare lei e sua madre regolarmente, a Roma.
«Diceva di essere un ingegnere costretto a trascorrere lunghi periodi lontano da casa. Veniva e se ne andava, io ero piccolo, non avevo idea che fosse così famoso».
Certo, all’epoca Internet non era ancora esploso.
«Ricordo che una volta eravamo in macchina e alla radio passarono una sua canzone. Mi sembrò una voce familiare, ma non feci domande. Lui guidava. Divenne muto e serio all’improvviso, era teso».
Fu un servizio fotografico scandalistico a costringerlo a venire allo scoperto.
«Sì, pubblicarono delle foto che lo ritraevano assieme a mia madre. Ammise di aver avuto un figlio fuori dal matrimonio, poi nel 1997 volle riconoscermi ufficialmente».
Inizia allora l’avventura di Niko Cutugno, figlio di Toto «fino all’ultimo respiro», come titola la sua autobiografia (Baldini + Castoldi).
«Gli sono stato accanto fino alle sue ultime ore, consumate nell’agosto del 2023, quando un cancro se lo portò via».
Passo indietro. Niko è un bambino che ha appena scoperto di avere un padre famoso e ricchissimo.
«Non fu facile all’inizio. Una volta mi portò a Disneyland e l’autista ci lasciò proprio sotto alle Montagne Russe che io volevo provare. Ero sbalordito».
Veniva spesso a trovarvi?
«Per me era come aspettare Babbo Natale: pieno di doni ma poi destinato a scomparire per un po’. Da bambino non percepivo una vera presenza, con i suoi lati buoni e cattivi, ma una festa che si rinnovava e che, puntualmente, poi finiva Lunghe assenze, grandi regali, inevitabili addii».
Che cosa provava nei momenti del distacco?
«Una sensazione di perdita che tornerà a visitarmi più volte nella vita».

Perché secondo lei Cutugno ha fatto la scelta di non rompere il suo matrimonio e, al tempo stesso, di coltivare una seconda famiglia?
«La risposta più semplice è che per entrambe le donne provava amore, anche se di tipo diverso e che amava troppo suo figlio».

E la risposta più difficile?
«Era un artista».
Vuole spiegare meglio?
«Un artista deve pensare sé stesso in grande e quindi convincersi di possedere il diritto ad avere tutto. Anche due famiglie, se necessario».
In effetti, nessuno lo ha obbligato a farlo.
«Appunto. Papà aveva uno straordinario magnetismo, gli si perdonava tutto, persino il pubblico e i giornalisti gli perdonavano le sfuriate».
Me ne racconta una?
«La prima volta che andai in concerto con lui, nel 1997: in Calabria, piazza piena, pubblico in delirio. Cominciò a cantare, poi si accorse che stavano facendo esplodere dei petardi. Si fermò e minacciò di abbandonare il palco. Riprese solo quando cessarono i botti».
Lei nel libro scrive che la moglie di suo padre è stata, per certi aspetti, una sua «seconda madre» e che il vostro rapporto è stato sereno.
«Sì, ma di questo oggi non voglio parlare».
Sua madre, invece, come ha vissuto questa storia?
«Si è impegnata. Faceva di tutto per costruire una normalità apparente. Ma i loro caratteri spesso si scontravano e allora nascevano discussioni. Quando lei decise di rifarsi una vita lui soffrì molto».
Un ricordo di quella «normalità»?
«Mi piaceva andare a pesca. Un giorno mi accompagnò: a lui però interessava parlare con me, il tempo trascorso insieme era prezioso. Il punto è che il brusio spaventava i pesci. Gli chiesi di stare in silenzio per un po’ e lui, di colpo, si inabissò nella malinconia».
E poi c’erano le cose di tutti i giorni, la paghetta, i consigli, magari i rimbrotti.
«Mio padre non aveva la più pallida idea di quanto costassero il pane o il latte: se dovevo tagliarmi i capelli mi metteva in mano centinaia di euro.
Oggi lo capisco: lui viveva in un mondo parallelo, con manager, autisti, assistenti».
Però essere suo figlio a volte è stato divertente.
«Ricordo indelebile: una sera mi fece una sorpresa e in un locale dove stavamo festeggiando i miei 18 anni fece arrivare Franco Califano. Non stavo più nella pelle. Con il Califfo ci mettemmo a cantare Tutto il resto è noia».

Suo padre era famoso in tutto il mondo.
«Nei paesi limitrofi alla Cina lo chiamavano “maestro”. In Russia era presente nelle grammatiche italiane: la prima tournée durò ventotto giorni tra Mosca e Leningrado. Una volta a Kiev lo trattennero per un po’ in aeroporto perché poco tempo prima si era esibito in Russia».
Che cosa ascoltava Cutugno in macchina?
«Il lettore cd passava sempre Destinazione Paradiso di Grignani e Una domenica bestiale di Concato».
Crescendo, tra di voi si accentuavano delle differenze. Per esempio, lui apprezzava molto Berlusconi.
«E io di meno. Ma il Cavaliere stravedeva per lui. Una volta gli disse: “Salga in elicottero, la porto a San Siro a vedere il Milan”. Giunti tra le nuvole, tirò fuori il libretto degli assegni: “Cutugno, la voglio a Mediaset, scriva lei qui la cifra”».
Ma Toto disse no.
«La sua trasmissione in Rai, Piacere Raiuno, era molto seguita e comunque lui voleva essere leale con chi lo aveva portato in televisione».
Nel 1983 a Sanremo, «L’italiano», forse il suo maggior successo, arrivò solo quinto.
«Ma fu grazie a quella canzone che per la prima volta, l’anno dopo, Gorbaciov decise di trasmettere Sanremo in tutta l’Unione Sovietica
. Modugno lo chiamò e gli disse: “Toto, tu sei il mio vero erede”».

È vero che era anche un tenerissimo gaffeur?
«Eccome! Una volta al ristorante eravamo seduti accanto a un regista famoso per i suoi film senza colonne sonore. Papà, volendo essere gentile, lo salutò e si complimentò per il suo ultimo film, “soprattutto per la bellissima musica”».

Che cosa prova per sua madre?
«Sa, oggi ho trentacinque anni, faccio un lavoro che amo (Niko lavora come Breathwork Coach, in un progetto di crescita personale attraverso il respiro, ndr), ho una compagna a cui sono legato. Tante cose le ho risolte. Ma ho capito che qualche volta a mancarti di più è chi nella tua vita c’è stato di meno. Non è giusto, ma sono onesto».

Lei nel suo racconto è molto onesto. Ammette di aver ceduto a una «raccomandazione».
«Prima e unica volta: un conoscente di papà mi disse che se volevo entrare alla Luiss di Roma poteva darmi una mano. Risultato: non venni ammesso, complice anche l’essermi presentato dopo una notte molto allegra».

Cutugno ha voluto essere cremato.
«Portai io stesso le ceneri a casa di sua moglie».
Nelle sue ultime ore di vita che cosa ha provato per suo padre?
«Affetto. Non parlo di “perdono”, perché lo trovo egoistico. Ho, piuttosto, compreso mio padre, anche perché è stato in quelle ore che ho capito tante cose su di me».