La Stampa, 15 maggio 2025
Sara Gama: “Ho fatto un doppio lavoro per i diritti. Io a Ballando? Non mi ci vedo, ma chissà”
Salutata all’Allianz Stadium con una lettera che sembra una preghiera laica. Sara Gama lascia il calcio e non ha neanche un rimpianto: «C’è una differenza importante tra come ho trovato questo mondo e come lo lascio. Ho visto più commossi gli altri di me, è da tanto che ci penso».
La lettera delle compagne dice: «Hai cambiato le sorti delle nostre vite».
«Ci ho messo abbastanza impegno, sì».
Su che cosa ha inciso di più?
«Dentro determinate sedi di politica sportiva ci sono andata io. Sono anni che conduco una doppia carriera e non è sostenibile, per fortuna nessun’altra lo dovrà rifare. È stata l’unica maniera possibile per ottenere ciò a cui siamo arrivate. Credo di aver dato una spinta in più. Le riforme sociali camminano sulle gambe di qualcuno, hanno facce, voci».
Meglio alzare una Champions o firmare il professionismo?
«Il professionismo, non ho dubbi. Non ha pari. Nel 2022 sapevo di aver raggiunto il massimo dentro e fuori dal campo. Il mio percorso era completo: successi, riconoscimenti, il primo luglio arriva il professionismo. Perfetto. Mi sono sentita completa e credevo di salutare l’anno successivo. Non c’è stata serenità a seguire, così l’ho tirata un po’ più lunga».
Perché?
«Due anni non felici, guai con la Nazionale e anche con la Juve due stagioni senza scudetto. Non potevo smettere in quel momento. Ora c’è orgoglio e voglia di vedere l’altro pezzo di vita che comincia».
Come hanno fatto le Juve Women a tornare a vincere?
«Abbiamo cambiato modo di giocare con l’uno contro uno di Canzi. Tanto lavoro fisico e soprattutto regole rimesse a posto: esistono gerarchie precise nelle squadre e non c’entrano con il campo. Ci sono giocatrici che trascinano, leader naturali, persone che vanno messe in condizione di esprimersi e dare la linea. Chi arriva capisce dove sta e si inserisce, se trovi un gruppo il sacrificio collettivo diventa automatico».
È quello che è mancato alla Juve maschile?
«Non è lo stesso spogliatoio, non posso dire che cosa sia mancato. So che tornare alle cose semplici aiuta».
Anche il calcio femminile si divide tra giochisti e difensivisti?
«Non ha senso. Ognuno ha le proprie filosofie, ma il calcio è fatto di variabili incalcolabili: è un gioco e se ti fermi al tuo credo sei finito. Ci sarà sempre un momento in cui ti verrà chiesto di adattarti ad altro per riuscire. Dipende pure dagli obiettivi, se sei un club che cresce giovani per vocazione magari insegni un gioco estetico. Alla Juve, non serve che lo dica, siamo qui per fare una cosa sola e di quella ti devi preoccupare. Però finiamola: nel 2025 se giochi male tutte le partite non vai da nessuna parte. Si fa quel che serve».
Inter-Barcellona è una sfida memorabile o una partita pieni di errori?
«È stata strabiliante. Ho visto molti più errori in Psg-Arsenal. Pronti via: una serie di campanili da tensione acuta, se li facciamo noi ci dicono che non c’è qualità. A Parigi spazzavano che era un piacere».
C’è una equivalente di Yamal al femminile?
«Ci sono Paesi a livelli troppo differenti e il talento è molto più imprevedibile. Difficile il paragone, noi “una Yamal “potremmo pure perderla, un ragazzino che gioca così invece la strada la trova di sicuro».
I quarti raggiunti dalla Nazionale ai Mondiali del 2019 sono stati anche un cambio culturale. La scintilla è stata alimentata?
«C’è un prima e un dopo, il valore non si è esaurito. Essere visibili ha creato seguito. Non si è sfruttato abbastanza il lavoro sul territorio: stiamo disperdendo possibilità, ragazzine che a un certo punto si fermano. E ci sono regioni, per esempio la mia, il Friuli Venezia Giulia, che non hanno ancora prime squadre… Manca la filiera, è il grande tema e si innesta nel problema che non è solo femminile: mancano le strutture».
Criticità che chiamano costi.
«Non tutto riguarda il soldo, certe questioni si risolvono con una guida».
Si candida?
«Piano, la mia carriera politica continua però vediamo dove porta, non mi annoierò».
Pronta per Ballando con le stelle come Pellegrini?
«Mai dire mai, non mi ci vedo però con la baciata ci siamo».
Meglio la linea Coventry. Ex atleta oggi a capo del Cio?
«Sono felice di averlo visto succedere».
Si immagina alla Juve come dirigente?
«Si devono creare delle circostanze. Io ci sarò sempre per questo club perché loro ci sono stati per me. Juve è sinonimo di tradizione e di innovazione. Noi, la Next gen, lo Juve lab: viaggiano a ritmi alti. Abbiamo appena fatto una serie per Tik Tok sul calcio femminile e non è un progetto scontato».
Juventus ha promosso anche il podcast «Sulla razza», per trovare le parole giuste. Le abbiamo trovate?
«Tutto va portato avanti nel tempo. Non si può imporre un vocabolario, vanno ripetuti i concetti corretti, con un lessico rispettosi e chi è più noto ha maggiori responsabilità».
Proviamo. Afroitaliana o nera?
«A me vanno bene entrambi ma io sono triestina. Afroitaliana… mia madre è istriana, è compresa? A lei come la chiamano, caucasica? Bianca? Mozzarella? Siamo persone».
Sulle maglie di saluto c’è scritto «capitano», non capitana.
«Il linguaggio plasma la realtà e declinare il mondo secondo più generi vuol dire dare più facce, includere: capitana era preferibile, però se dicessi alle compagne “capitano è sbagliato”, che reazione potrei avere? Quello è un gesto di affetto puro, di totale rispetto e me lo prendo. Per il resto, lo ridico, serve pazienza, abitudine».
La sua compagna Alisha Lehmann viene criticata via social perché si trucca troppo. Sessismo?
«Le donne devono ancora levarsi il peso dei giudizi sull’aspetto e nel mentre l’immagine è diventata parte del quadro globale. Si contestano, che so, le pettinature dei maschi. In questa nuova era vanno prese le misure. Detto ciò. Alisha può truccarsi quanto crede».
Altra parola. Patriarcato. Un ministro dice che in Italia non esiste.
«Se guardiamo i numeri mi sembra evidente che le opportunità non sono mai state le stesse. Nel 2017 ero l’unica donna in consiglio federale. Non è semplice o banale, si tratta di dimezzare il potere, ridistribuirlo perché se entrano nuovi soggetti significa che qualcuno deve uscire».
Abbiamo una premier. La politica ha ridistribuito?
«Bel cambiamento, apre degli scenari. Le donne non sono migliori degli uomini, si tratti di avere, a parità di competenze, gli stessi accessi ai ruoli chiave. E ancora non è così».