corriere.it, 14 maggio 2025
Intervista a Vittoria Risi
Sembra uscita da una tavola di Milo Manara: corpo sinuoso, sguardo fiero, una carica erotica che si intreccia con il mistero. Vittoria Risi è così, magnetica e difficile da incasellare. Dietro l’icona sexy che per quasi vent’anni ha animato set hard e palcoscenici notturni in tutta Italia, c’è molto di più: una donna colta, veneziana, con una formazione all’Accademia di Belle Arti, una passione per la pittura e una sensibilità capace di cogliere la solitudine degli altri. Oggi è arrivato per lei il tempo del cambiamento, Risi torna alla pittura, alla scrittura, alla sua Venezia. E torna anche il desiderio di raccontarsi, di svelare le sue fragilità, la forza silenziosa che l’ha tenuta in piedi, l’amicizia con Vittorio Sgarbi – che l’ha voluta come musa e che oggi, attraversando un momento difficile, lei aspetta con affetto. Vittoria ha un piccolo studio a Venezia. Spesso si ritira qui tra i suoi quadri pronti per una nuova mostra e il desiderio di dire finalmente: «Questa sono io».
Vittoria, chi era la ragazza che un giorno ha deciso di oltrepassare il confine tra arte e pornografia?
«Ero una giovane donna veneziana, con alle spalle studi all’Accademia di Belle Arti. Disegnavo, dipingevo, amavo la notte. Ma avevo anche una curiosità verso il mondo erotico: leggevo fumetti, guardavo film. A un certo punto ho capito che volevo essere io quella desiderata, come le donne disegnate da Manara. Così è iniziato tutto, nel 2008. È stata una scelta consapevole, mia, senza nessuno che mi spingesse».
E in quel mondo lei è rimasta per molti anni...
«Sì, otto anni nei film hard, dal 2008 al 2016. Poi ho continuato con gli spettacoli nei locali. Ma anche lì portavo la mia arte: niente oggetti da sexy shop, ma scenografie create da me, costumi pensati come opere. L’arte non mi ha mai abbandonata. La mia scelta di cambiamento non è dettata da una mancanza di richieste o opportunità, ma da un desiderio profondo di evoluzione personale. Ho deciso di chiudere un capitolo importante della mia vita per aprirne un altro, dedicato completamente all’arte e al teatro. Ho studiato commedia dell’arte con Gianni De Luigi e ora voglio approfondire questo percorso. Per tutto il 2025, però, continuerò a esibirmi nei locali di tutta Italia, portando in scena spettacoli che uniscono sensualità ed espressione artistica»
Ha imparato qualcosa, in questi anni, sulla dimensione psicologica legata alla sessualità?
«Tantissimo. La sessualità è un linguaggio profondissimo, che parlano tutti: uomini, donne, operai, imprenditori, uomini di cultura. In ognuno c’è una zona d’ombra, un bisogno, un desiderio che spesso il sesso rivela. Ho capito che la vera trasgressione è l’eleganza in un contesto dove spesso non è richiesta. Ed è lì che ho trovato il mio stile».
Cos’è che l’ha trattenuta così a lungo?
«L’amore del pubblico. In tanti mi seguono, mi parlano della loro solitudine, cercano in me un sorriso, un gesto gentile. Alcuni volevano anche sposarmi. Ti aspetti una proposta indecente e invece la gente ti sorprende con una richiesta così. Questo affetto mi ha spinta a restare. Ma ora sento che è arrivato il momento di iniziare una nuova vita e di seguire le mie passioni».
In che modo?
«Intanto un libro. Racconterò tutto: il mio percorso, le difficoltà, la distanza dalla famiglia, il bisogno di esprimermi e la mia gran voglia di dipingere, soprattutto di notte».
Il suo legame con Vittorio Sgarbi ha fatto molto parlare…
«Vittorio è stato importante per me. L’ho conosciuto a Forte Marghera, poi ci siamo rivisti a Palazzo Grimani. Nella sua rubrica telefonica sono registrata come “Vittoria Forte Marghera”. Era rimasto colpito dalla mia passione per l’arte. Mi vedeva come una figura statuaria, e ammirava la mia capacità di comprendere il suo linguaggio. Abbiamo condiviso momenti belli, anche intensi: a Madrid, per la mostra di Botero, o quando fece aprire El Prado per vedere Velázquez. Vittorio è raro, non giudica mai, è attratto dalle personalità libere».
Lo ha sentito recentemente?
«No, e non è da lui. So che sta attraversando un momento buio. Vorrei vederlo, raccontargli le mie cose ridendo, perché lui ama la solarità. Ha bisogno di sentirsi amato. Spero torni presto a essere se stesso: l’arte è medicina, e lui può guarire tanti solo parlando di bellezza».
Un aneddoto con lui che non ha mai raccontato?
«Svenni al Quirinale durante una giornata per l’AIRC, c’era anche Umberto Veronesi. Il presidente all’epoca era Giorgio Napolitano. Mi salvò il professor Veronesi con un massaggio cardiaco. Un momento surreale, ma non l’ho mai dimenticato».
Cosa vorrebbe dire a Vittorio Sgarbi, oggi?
«Che torni presto. A me non ha mai dato della capra, e sa che può ancora fare molto. L’arte è medicina, e lui ne è pieno. Un click e si è spento, ma può riaccendersi. Se lo vedessi oggi, gli racconterei un sacco di cose ridendo, perché lui ama chi porta luce».
Che cosa si aspetta dal futuro?
«Voglio un’esposizione vera, riconosciuta. I quadri sono pronti, cerco solo il luogo giusto. E sogno che Sgarbi venga all’inaugurazione».
Parliamo dei suoi quadri: a chi si ispira?
«I miei quadri nascono dalla memoria di molti viaggi a Pellestrina e portano dentro la laguna, il cielo, i riflessi, le sfumature. È un astrattismo atmosferico, molto influenzato dalla luce e dai colori, un po’ alla Turner, nella sua fase più estrema. Uso colori miei, li creo da sola, e i quadri sono grandi: mi piace sentirmi dentro la tela. Dipingo spesso di notte: il silenzio mi guida».
Alle ragazze che pensano che basti spogliarsi per far carriera cosa si sente di dire?
«Dico loro di stare attente. Oggi è tutto più veloce, la rete accelera tutto. Ma bisogna avere un piano B, un luogo dove atterrare quando il gioco finisce. La vita vera è un’altra cosa».
Paure? Pentimenti?
«Ho paura del buio, non dormo senza una luce. Pentimenti, nessuno. Porto sempre con me un bigliettino con una frase di Papa Francesco: ’Non abbiate paura della tenerezza’. Mi sarebbe piaciuto confessarmi con lui. Era un uomo che non giudicava nessuno ma sapeva accogliere tutti. Mi mancherà».