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 2025  maggio 14 Mercoledì calendario

I tagli di Trump alla ricerca medica danneggiano la salute globale

Negli ultimi giorni, la notizia dei tagli annunciati dall’amministrazione Trump al finanziamento della ricerca pubblica e alla sanità ha suscitato reazioni contrastanti anche in Europa. Alcuni leader politici li hanno interpretati come un’opportunità per rafforzare il ruolo strategico della ricerca europea. Qualcuno ha parlato addirittura di “occasione storica” per recuperare competitività. Ma chi vive quotidianamente la scienza sa che ridurre gli investimenti in un settore così cruciale non è mai una buona notizia –neppure quando riguarda un altro Paese, e men che meno quando quel Paese è la prima potenza mondiale nella ricerca biomedica.
Il National Institutes of Health (NIH), l’agenzia federale USA responsabile della ricerca biomedica e della salute pubblica, è il maggior finanziatore della ricerca biomedica a livello globale, con un budget annuo di circa 47 miliardi di dollari, di cui l’80% viene distribuito come finanziamento a oltre 300.000 ricercatori in tutti gli Stati Uniti e nel mondo. Parliamo di università, ospedali, centri pubblici e privati che, grazie a questi fondi, conducono studi su cancro, malattie infettive, genetica, neuroscienze, vaccini, nuove terapie. Il restante 20% è impiegato per la ricerca condotta internamente e per i costi operativi.
È una cifra impressionante, se si pensa che il più grande programma europeo, Horizon Europe, ha un budget di 95 miliardi di euro distribuiti su sette anni e su tutti i settori della ricerca – non solo biomedicina. Questo significa che un solo ente americano investe ogni anno nella salute più di quanto faccia tutta l’Unione Europea in un lustro. È anche grazie a questi finanziamenti pubblici che sono stati scoperti i vaccini a mRNA contro il Covid, o che sono stati compiuti enormi passi avanti nell’immunoterapia dei tumori e nello studio delle malattie rare.
Tagliare questi fondi non significa “aiutare la concorrenza europea”: significa impoverire un ecosistema globale di ricerca che è profondamente interconnesso. Quando cala l’investimento americano, non è solo l’università di Boston a soffrire, ma anche il laboratorio italiano che collabora con Harvard su uno studio contro l’Alzheimer. Quando si fermano le grandi reti di ricerca sul cancro, saltano gli studi clinici internazionali, i database condivisi, le sperimentazioni che salvano vite. In una scienza sempre più globale, non ci sono vincitori quando uno dei pilastri viene fatto crollare.
E poi c’è un altro equivoco da chiarire. Alcuni immaginano che i tagli di Trump possano trasformarsi in una “fuga di cervelli” dagli Stati Uniti verso l’Europa. Ma per accogliere quei cervelli servono infrastrutture adeguate. La ricerca biomedica avanzata non si fa solo con intelligenza e competenza: richiede laboratori competitivi, tecnologie d’avanguardia, strumentazioni costose, facility organizzate e personale altamente specializzato. Richiede visione e investimenti stabili. Troppo spesso, nel nostro continente, questi elementi mancano o sono frammentari. Non basta attrarre ricercatori di talento: bisogna creare le condizioni perché possano lavorare, innovare, restare.
A chi crede che questi tagli possano rappresentare un’opportunità per l’Europa, va ricordato che la competizione nella ricerca non si gioca con i vuoti lasciati dagli altri, ma con gli investimenti strutturali, la stabilità delle carriere scientifiche, il sostegno all’innovazione. E soprattutto, con una visione. Una visione che oggi dovrebbe essere chiara a tutti: la salute globale è una responsabilità condivisa, non una gara a ribasso.
Negli ultimi anni abbiamo compreso, forse più che mai, quanto la ricerca sia la nostra prima linea di difesa contro le crisi sanitarie, ambientali, demografiche. Ogni euro sottratto alla scienza è un euro in meno per la nostra sicurezza futura. Servono investimenti lungimiranti, non tagli ideologici.
Servono ponti tra i Paesi, non barriere. Perché se c’è una cosa che abbiamo imparato da una pandemia globale, è che la salute non conosce confini. E neanche la scienza.