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 2025  maggio 14 Mercoledì calendario

Referendum, il quorum non va demonizzato

Il 16 ottobre 1947 non è un giorno normalmente ricordato dalla memoria collettiva di questo paese. Il Messaggero del giorno seguente, per esempio, riportava tra le notizie principali il pericolo di una crisi di governo, l’opposizione del Partito socialista al Piano Marshall e un’intervista al Ministro dell’istruzione, Guido Gonella. Solamente in posizione defilata, in basso a sinistra sulla prima pagina, venne riportata la cronaca della giornata precedente a Montecitorio. Una giornata lunga e impegnativa, a dire il vero, che portò all’approvazione di uno degli articoli della Costituzione più discussi dell’intera storia repubblicana. Si tratta dell’articolo 75, quello cioè che introdusse nel nostro ordinamento il referendum abrogativo, di cui si torna a parlare ogni volta che in Italia si presenta questo tipo di votazione.
L’occasione contingente per farlo di nuovo è posta dall’interessante commento di Giovanni Diamanti sul Messaggero di sabato 10 maggio, in cui, e mi auguro l’autore vorrà scusarmi per la sintesi, si propone di limitare il quorum per la validità dello stesso. Le proposte fatte sono ragionevoli e ben argomentate. Mi permetto di aggiungere, a sostegno della loro validità, che ai tempi della sua regolamentazione legislativa (legge 352 del 1970), l’obbligo di voto in Italia non era semplicemente un richiamo di principio contenuto nell’articolo 48 della Costituzione ma una vera e propria previsione di legge. Insomma, c’erano, seppur lievi, conseguenze dal non andare a votare. Certo, l’obbligo si riferiva alle elezioni politiche: tuttavia, tale previsione contribuiva attivamente a creare consenso culturale verso la partecipazione. Di conseguenza, è assolutamente vero che, una volta, il quorum era più facile da raggiungere rispetto a oggi. Tuttavia, quando si affronta la materia, non è possibile prescindere da tutte le altre caratteristiche della consultazione referendaria, considerandole ognuna a se stante.
La lettura degli atti della Costituente, infatti, così come tutta l’attività politica che ne seguì, ci fa capire come quella del referendum abrogativo fosse una materia sin dall’inizio molto scivolosa. Il sentimento generale fu che lo strumento, per quanto accettato, dovesse essere piuttosto vincolato, affinché l’attività del Parlamento, organo sovranamente deputato all’attività legislativa, potesse essere certa e, entro limiti ragionevoli, immutabile. Cosa che invece il principio del referendum abrogativo metteva, e mette, in discussione. Addirittura, qualcuno propose che una legge non potesse essere sottoposta a referendum abrogativo prima dei cinque anni dalla sua approvazione, perché, altrimenti, non si sarebbe potuto giudicare se essa avesse funzionato oppure no. Si riporta, anche come curiosità storica, un commento che, con un linguaggio molto esplicito, contribuì a stabilire il quorum attuale del 50%: “Sarebbe, a mio avviso, veramente deplorevole l’abrogazione di una legge con il 17, 18, 20 per cento di voti rispetto agli elettori iscritti” (on. Paolo Rossi, p. 1290, Atti Costituente).
Ora, è chiaro che ogni nuova maggioranza politica potrebbe, con gli strumenti messi a disposizione dall’articolo 138 della stessa Costituzione, mettere mano all’articolo 75 cambiando solo ciò che desidera cambiare. Quindi anche solo il livello di quorum richiesto e financo la sua esistenza. Ma se si volesse rispettare lo spirito del legislatore dell’epoca allora bisognerebbe compensare questa maggiore facilità con dei contrappesi. Per esempio, non sfuggirà a nessuno che raccogliere la firma di 500.000 elettori sia estremamente più semplice adesso rispetto al 1948. Perché allora non bilanciare un quorum più leggero con un vincolo più elevato per la sua richiesta? Ciò renderebbe tale modifica forse più accettabile dal legislatore stesso invece che tramutarsi, come invece è più probabile, in mera e irricevibile rivendicazione di principio. Infine, fin quando il quorum esisterà, sarebbe davvero auspicabile che la classe politica eviti di mettere in cattiva luce chi deciderà, legittimamente, di non andare a votare. Il referendum è spesso (certo, non sempre) materia tecnica: perché mai chi non sa nulla dell’argomento dovrebbe cestinare il lavoro del Parlamento? Inoltre, se l’argomento interessa un numero limitato di persone, di nuovo, perché ciò dovrebbe mettere a rischio l’attività di una istituzione che invece rappresenta l’intera popolazione? Infine, scagli la prima pietra (è una metafora, sia chiaro) chi non ha mai usato l’argomento dell’astensione al referendum per difendere i propri interessi! E ne scagli pure due chi tra questi, quando ha avuto responsabilità di governo, ha proposto una legge di revisione costituzionale per liberarsi del quorum. Il quorum dà un vantaggio al “No”? Certamente: ma è così per espressa volontà dei padri costituenti. Se con qualcuno ce la si vuole prendere, bisognerebbe farlo con loro.