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 2025  maggio 14 Mercoledì calendario

La crisi delle mense scolastiche «Cresce la povertà alimentare»

Sono cruciali per favorire la socializzazione e combattere la povertà alimentare tra 2 milioni di bambini e ragazzi, eppure le mense scolastiche vivono tempi bui. Da un lato – è l’indagine sul tema pubblicata ieri da Cittadinanzattiva – c’è l’allarme delle famiglie che in media spendono 85 e 86 euro al mese per la mensa di un figlio iscritto rispettivamente alla scuola dell’infanzia e della primaria. Dall’altro gli attori produttivi del comparto lamentano difficoltà causate dai prezzi delle materie prime e dell’energia, in crescita ininterrotta dal post-pandemia a cui si aggiungono la mancata revisione dei prezzi pagati dalle pubbliche amministrazioni per servire i pasti nelle classi e un codice dei contratti che le associazioni sentono come un capestro. L’indagine “Sfide e Opportunità per la Ristorazione collettiva in Italia” svolta da Nomisma per conto di Oricon, l’Osservatorio della Ristorazione collettiva e Nutrizione, dettaglia le difficoltà del settore di cui le mense scolastiche rappresentano la branca più consistente, per un valore che nel 2023 si assestava a 1,62 miliardi di euro. Anche se i ricavi totali della ristorazione collettiva sono in crescita, infatti, i margini di guadagno si erodono. La ricerca ha analizzato 77 bandi di gara relativi alla ristorazione scolastica varati in Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio e Campania negli ultimi anni, alcuni prima e altri dopo il 2020. Emerge che, dal periodo prepandemico a oggi, la base d’asta per l’affido della gestione delle mense scolastiche è aumentata di appena il 10% e si assesta attualmente a 5,14 euro a pasto. Molte aziende incaricate della gestione di mense scolastiche si sono trovate nella situazione di non poter ricalibrare il compenso avendo stipulato l’appalto con un contratto precedente al 2020, che non prevedeva una rivalutazione dei prezzi. E proprio qui sta l’inghippo: rispetto alla crescita dei prezzi delle materie prime, che ha colpito soprattutto i beni alimentari, i cui prezzi sono rincarati del 10% in più rispetto agli aumenti medi dei prodotti, l’aumento dei guadagni è ben poca cosa. Anche perché, nello stesso periodo, anche i prezzi di gas e petrolio sono cresciuti, rispettivamente del 36 e del 28%. Il tutto mentre gli standard richiesti si alzano: il servizio mensa deve rispondere a una platea di studenti sempre meno consistente (in cinque anni gli alunni sono diminuiti del 12%) ma con menù sempre più inclusivi e diversificati, con diete speciali adatte ad allergie e a prescrizioni etico-religiose.
La mancata inflazione dei prezzi per le famiglie rispetto allo scorso anno è confermata dal rapporto di Cittadinanzattiva che però consegna un quadro di gravi disparità territoriali per l’accesso al servizio, con l’Emilia Romagna che si aggiudica il titolo di regione più costosa dove la mensa costa 108 euro a bambino e la Sardegna nei panni della regione più economica, con una spesa di 61 euro per il medesimo accesso. A mandare in crisi il servizio delle mense scolastiche ci si mette poi un contesto normativo difficile, soprattutto – sostiene la ricerca Oricon – per il Nuovo codice dei contratti pubblici, in vigore da luglio 2023, che non prevede un’assegnazione calibrata su un sistema qualità-prezzo ma soltanto sull’offerta più economicamente vantaggiosa che, però, rischia di stimolare solo una corsa al ribasso. Nel mirino anche i criteri ambientali minimi, i cosiddetti Cam, che alzano l’asticella delle richieste (materie prime a chilometro zero, prodotti biologici e attività di educazione alimentare e di riduzione degli sprechi) senza però fornire supporto agli investimenti né sistemi di controllo sull’effettiva applicabilità dei requisiti. «Per esempio c’è una norma – spiega il presidente Oricon, Carlo Scarsciotti – che prevede che il biologico debba rappresentare il 50% in un pasto a scuola, ma nessuno ha mai verificato che esista la materia prima per tutta la durata di un appalto, che spesso arriva anche a 5 anni. Il quadro normativo deve diventare organico e permettere un allineamento dei prezzi come avvenuto in altri comparti della ristorazione, come bar e ristoranti». Altrimenti – è la denuncia – le mense scolastiche rischiano di soccombere. Già attualmente in Italia solo un bambino su due ha accesso alla mensa e meno di due su cinque frequentano il tempo pieno. Se a livello nazionale più di un terzo degli edifici scolastici è dotato dello spazio per la ristorazione, la distribuzione – dice Cittadinanzattiva – non è omogenea e al Sud poco più di un edificio su cinque dispone di una mensa. I numeri devono allarmare perché le mense scolastiche contribuiscono a contrastare malnutrizione ma anche sovrappeso e obesità, condizioni che affliggono tre bambini italiani su dieci. Per ampliare le mense e il tempo pieno (i cui benefici riguardano sia il rendimento scolastico dei ragazzi che lo praticano sia l’aumento dell’occupazione delle madri) il Pnrr ha stanziato un miliardo e trecentomila euro, di cui 600mila destinati proprio al miglioramento di mille edifici per la ristorazione scolastica. Secondo l’indagine di Cittadinanzattiva, però, solo la metà degli interventi finanziati sono andati agli istituti del Sud che, come abbiamo visto, sarebbero invece i più bisognosi di risorse per le mense scolastiche.