Corriere della Sera, 13 maggio 2025
Intervista ad Antonello Venditti
Accenna l’attacco al piano, all’interno della grande villa a Colle Romano, tranquillo compound fuori a nord della sua Capitale. E subito scorrono istantanee di banchi e professori, di veglie agitate senza sonno. Se c’è un brano nella sua sterminata produzione che ne contiene mille altri, questi è «Notte prima degli esami»: Antonello Venditti lo sa. Dal 17 giugno, insieme a tante altre, il cantautore la porterà in giro per l’Italia, partendo da Caracalla.
Perché questo pezzo rimane popolare generazione dopo generazione?
«Non è che l’Italia cambi così rapidamente. Probabilmente i ragazzi di oggi ritrovano sapori, profumi, angosce, speranze, dolori di ieri».
Come nacque?
«Mi sono messo al piano e magicamente una mattina mi è arrivata. Tutta d’un botto. Tornavo a Roma dopo quattro anni di esilio, mi riconciliai con la città».
Cos’era successo?
«Mi ero separato da mia moglie Simona Izzo, avevo paura del pubblico e caddi in depressione. Lucio Dalla mi trovò casa in Brianza. E in alcuni momenti pensai al suicidio».
Addirittura?
«Con la macchina. L’unica cosa che mi era rimasta. Ma desistetti».
E poi?
«E poi fu Lucio a dirmi di ritornare. Scrissi alla velocità della luce “Ci vorrebbe un amico”, “Grazie Roma”. E “Notte prima degli esami”».
Questa, ma anche “Giulio Cesare” o “Compagno di scuola”: perché i suoi anni del liceo sono cosi fondamentali?
«Fino a 18 anni, la mia vita è stata solo quello. Poca vita sociale, mia madre professoressa di latino e greco: uscivo di casa, andavo a scuola, tornavo a casa, una vita circolare».
È vero che sua madre la bullizzava, diceva che era «grasso come un maiale»?
«Era una buona persona, ma le mancava proprio l’empatia. Essere sovrappeso ha condizionato tutti gli anni del liceo: pesavo 94 chili. Fino a 16 anni praticamente non ho vissuto. Poi ebbi un incidente, finii in ospedale e in due mesi ne persi 30».
E suo padre?
«Faceva il viceprefetto, non c’era mai, ma all’occasione era il braccio violento di mamma. Una situazione complicata».
Il bullismo oggi passa attraverso i social?
«Ne so qualcosa, la storia secondo cui avrei offeso una disabile è nata li, sui social».
Ma a distanza di tempo com’è andata veramente?
«È stato un fake. Sui social hanno fatto un montaggio in cui hanno unito le mie critiche a un’altra persona, normodotata, che mi stava insultando al momento in cui me la sarei presa con la disabile: un fake di cui non mi sono accorto nemmeno io all’inizio, tant’è che mi sono sentito in dovere di fare le scuse alla ragazza. Ora c’è una mia denuncia al tribunale di Andria contro l’autore di quel fake. L’assurdo è che c’è gente che mi chiede se ai miei concerti sono ammessi i disabili».
Torniamo alla canzone: ma lei se la ricorda davvero la sua prima notte degli esami?
«Ricordo quella prima degli orali: la matematica non sarà mai il mio mestiere, come cantai, ma feci un figurone all’orale proprio di matematica, anche grazie al prof di ripetizioni che la sera prima mi portò a Firenze, probabilmente ad ubriacarci».
I quattro amici con la chitarra: oramai si sa, uno era De Gregori. Chi è per lei?
«Un fratello siamese. O gemelli allattati dalla stessa lupa, come dice lui. Ci conosciamo da 55 anni. Per certi versi siamo lo yin e lo yang, lui più riservato, io meno, ma ci completiamo».
Parlando di altri cantautori: Rino Gaetano che lei produsse per primo?
«È stato molto sottovalutato. Era un personaggio eterodosso perché aveva un linguaggio giornalistico mentre noi forse eravamo più complessi. Voleva farsi accettare a tutti i costi, specie da me e da Francesco, pure troppo».
Altro eterodosso, Battisti
«Non lo consideravamo molto: non scriveva i testi. Era simpatico però, un romanaccio. E lontano dalle dispute ideologiche: non era lui quello di destra, ma Mogol, le braccia tese sono roba sua».
E De André?
«Era più interessato a De Gregori che a me. E Francesco si sentiva suo figlio artistico. Io no».
Di Dalla abbiamo detto, le ha salvato la vita
«Sapeva mettere in relazione mondi molto diversi. Ed era molto curioso».
Chi era invece la Claudia della canzone?
«La mia fidanzata di allora, la prima: perdemmo insieme la verginità. L’amore, il sesso la prima volta può essere un atto violento. Ma, appunto, non potevo farle male».
L’ha più rivista?
«No».
E oggi come va con l’amore?
«Sto con Anna, un amore fondato sulla stima. Quand’ero giovane il concetto di stima mi sembrava l’antiamore, oggi è il fondamento della nostra storia che non esclude il sesso, ma la completa».
Avete quasi trent’anni di differenza: le pesano?
«No».
Le famose «bombe delle sei» rimangono un mistero
«E lo rimarranno: c’e chi dice fossero spinelli e chi bombe vere. Non lo svelerò ora».
Altre bombe vere lei però se le ricorda
«Piazza Fontana. come fosse ieri. Ero sulla mia 500, a Roma, mi fermai impietrito».
Ha frequentato sia terroristi di destra che di sinistra
«A Roma ci si incontrava. Giusva Fioravanti beveva birre di fianco a me al Tortuga, il bar del mio liceo. E la famiglia della brigatista Adriana Faranda aveva una villa vicina alla mia, al Circeo: era decisamente la più bella della spiaggia, la prima a sfoggiare un topless. A volte mi sembra di essere Forrest Gump».
In che senso?
«Mi trovavo in situazioni che hanno fatto la storia, mio malgrado. La famosa foto di Benigni che prende in braccio Berlinguer: io sono poco dietro con De Gregori».
E poi ci sono «gli aerei che volano alto per New York e Mosca»
«Nell’88 ne presi uno per Mosca: eravamo alla fine della Perestrojka. Mi invitarono Dalla e Morandi: suonammo davanti a 40.000 persone. E mangiai troppo caviale, tanto che stetti male».
E ci sono «le notti di sogni, di coppe dei campioni…»
«Suonai prima di Roma-Liverpool al Circo Massimo. Ma soprattutto dopo la finale persa ai rigori: tutto il resto della città era in lutto, in silenzio. Tranne i 300mila con me, lì ad esorcizzare il trauma in un canto collettivo e consolatorio. Suonai per cinque volte “Grazie Roma”».
Anche se per molti la più grande dedica alla sua squadra è «Roma, Roma, Roma»
«Scritta 10 anni prima, quando per i cantautori il calcio era “l’oppio dei popoli”».
È il periodo di “Lilly”, devastata dall’eroina
«Un olocausto per la mia generazione, quello dell’eroina. Lei è morta».
Tornando alla Roma, Ranieri le piace?
«Lo sento tutte le mattine, facciamo una riunione tecnica…Ma gli avevo detto di tornare già un anno fa».
E a Roma oggi i pini si spezzano spesso…
«Qualcuno si romperà, ma Roma eterna rimane, nel suo splendore. Oltre la spazzatura e i cinghiali e gli alberi».
Figlia di Roma è Giorgia Meloni, le piace?
«È una ragazza che lavora. Sa l’inglese, quando c’erano dei premier che non parlavano manco l’italiano. Non so se la stimo, ma le riconosco l’impegno».
Ed Elly Schlein?
«Con lei c’è un problema di comunicazione».
Ma lei è ancora di sinistra, Antonello?
«Sono un anarchico ormai. Certo non sono di destra».
E il Papa appena scomparso?
«Mi ci ritrovavo, un po’ gesuita e un po’ francescano. Ragione e generosità».
C’è un erede di Antonello Venditti?
«No. Però apprezzo le improvvisazioni di Achille Lauro. E la gavetta di Lucio Corsi. Ma il problema di questi è che sono tutti a scadenza. Hanno dentro la morte artistica, vedi i Maneskin. Bisognerebbe inserire la musica nella Costituzione. Per preservarla».
Cosa le manca di fare?
«A differenza di altri miei coetanei, il mio ego man mano che invecchio si abbassa. Non voglio mausolei in vita e nemmeno biopic. Mi accontento di cantare ancora».