La Stampa, 13 maggio 2025
"Canto sogni e disincanto della mia generazione Noi, giovani di periferia randagi e non omologati"
I giovani della Torino di periferia cantati (o meglio, rappati) da Diego Random, al secolo Diego Gervasio, sono annoiati e incasellati nella routine. Patiscono l’omologazione, ma sono anche sognatori, romantici e volgari. Venerdì è uscito il terzo disco del giovane, classe 2000, che si è imposto negli ultimi anni come uno dei più promettenti cantanti di un genere che spazia dal rap all’urban pop. Per avere un confronto con artisti più conosciuti, un misto tra Marrakesh, Salmo e Lazza. Il disco si intitola “Ragazzo giovane” ed è un concentrato di torinesità, prodotto dall’etichetta RKH Studio di via Allioni. La sua squadra è formata da tre produttori, un grafico, quattro videomaker di effetti speciali, tutti giovani 25enni di periferia. Solo la distribuzione è della milanese Adamusic, la stessa di cantanti come Angelina Mango e Simone Cristicchi. Il prossimo 22 maggio il Live allo Spazio 211 di via Cigna. Ma al centro ci sono temi forti: Diego Random è il portavoce di una generazione probabilmente ancora trasparente.
Diego, quale è questa generazione?
«La Torino dei 23-28 enni, nati tra il 1997 e il 2002. In particolare, i ragazzi e le ragazze di periferia, di Mirafiori Nord, dove sono nato e cresciuto. E dove vivo ancora oggi».
Nel brano “Indelebile”, canta: «Guardavamo i grandi annoiarsi. Dicevamo mai come loro». Cosa intende?
«Quando eravamo ragazzini guardavamo i ragazzi più grandi e li vedevamo rassegnati. Non volevamo finire come loro. Adesso che siamo noi i grandi diciamo la stessa cosa dei nostri coetanei. Non è cambiato nulla. I miei coetanei sono annoiati».
Perché sono annoiati?
«In molti vivono una vita che non vogliono. Subiscono le aspettative imposte dalla famiglia o dalla società. Sono incasellati in una routine che li intontisce».
Anche lei soffre la routine?
«L’ho sempre patita. Da piccolo cercavo di evitarla e cerco di farlo anche ora. Sto lottando per questo. E lo racconto nelle mie canzoni».
Se dovesse dividere i giovani torinesi di periferia?
«Li divido tra sognatori e non sognatori. I non sognatori sono per esempio quelli che intraprendono il percorso di studio scegliendo “il meno peggio”. Si lasciano trasportare. I sognatori invece hanno un sogno, ma è un’arma a doppio taglio, perché perdono il contatto con la realtà».
Lei come si colloca?
«Sono un sognatore, ma con i piedi per terra. Abbastanza testardo per essere ambizioso. Sono per l’amore dell’impossibile».
E infatti ha intrapreso una strada molto difficile. Ha un “Piano B” per il suo futuro?
«No. A volte penso che la musica sia un mondo impossibile, ma è quello che voglio fare e mi ostino».
Tornando alle canzoni del disco, in “Randagi” canta: «Moriranno randagi e graffiati, quelli come me». Chi sono i randagi torinesi?
«Quelli che odiano le etichette, la non omologazione. Noi randagi ci sentiamo fragili e immortali. I 25enni di Torino hanno paura del futuro. Si chiedono: cosa faccio della mia vita? C’è chi scappa, chi diventa irriconoscibile; altri ancora si fanno il mazzo: lavorano, studiano, si informano».
Il suo disco si avvale di brevi videoclip emozionali. Di cosa si tratta?
«Un gruppo di miei amici, liberi professionisti studenti di ingegneria del cinema al Politecnico di Torino, hanno effettuato particolari riprese in CGI, Computer Generate Imagery, una tecnologia informatica che permette di creare effetti speciali spettacolari».
Ci faccia un esempio.
«Nel videoclip di Randagi mi trovo in un ampio spazio, gli studi di Scalo Eventi Torino, vicino allo stadio della Juve, dove appaio in mezzo a una folla di persone gigantesca che balla. Io volo sopra di loro. Ma nella scena solo io sono reale, tutta la folla è creata al computer: compaiono con la realtà aumentata. Per fare questo il mio corpo è stato completamente scannerizzato e mi muovevo con sensori, stile marionetta. In un altro video, che si intitola “Periodo punk”, vengo investito da un’auto. Ma l’auto in realtà non c’è. L’effetto è incredibile».