La Stampa, 13 maggio 2025
I divi ai tempi dell’AI
Cannes è l’ombelico del cinema, per questo, dentro la cornice fatta di grandeur e passione, sotto il cielo attraversato da un drone poliziotto, in mezzo ai 40mila accreditati da 160 Paesi, trovano posto tutte le questioni cruciali del momento. In attesa di accogliere l’esercito di divi capitanato da Robert De Niro, protagonista stasera del gala di apertura (corre voce che a consegnargli la Palma alla carriera dovrebbe essere Leonardo DiCaprio), il direttore della rassegna Thierry Fremaux offre il petto agli interrogativi più vari, conservando quel pizzico di ironia che gli permette di affermare che no, non si sente affatto sotto pressione, anche se da oggi i riflettori dell’universo cinema saranno invariabilmente puntati su questa porzione di Costa Azzurra. La stessa che vedrà splendere stelle come Tom Cruise, Nicole Kidman, Kristen Stewart, Emma Stone, Jennifer Lawrence, Juliette Binoche, Joaquin Phoenix, Benicio Del Toro, Bono, Duran Duran, Austin Butler, Denzel Washington (se riuscirà ad abbandonare il palco dove è in scena a Broadway, nell’Otello diretto da Kenny Leon) Pedro Pascal, Scarlett Johansson.
Proprio Johanssson, nel film di Spike Jonze Her (del 2013) aveva prestato la voce a Samantha, interlocutrice tecnologica di un informatico triste e solitario (Phoenix) in cerca di affettuosa compagnia. L’AI con cui Samantha era stata creata è oggi uno dei temi al centro del dibattito sul futuro del cinema, visto che attori, voci e performance sono ormai perfettamente replicabili e non si sa ancora esattamente che cosa questo potrà comportare: «È un argomento fondamentale e inquietante – commenta Fremaux –, che non riguarda solo il cinema, dove l’AI viene già ampiamente usata anche nella stesura delle sceneggiature. Molte società stanno lavorando su questa tecnologia, vedremo quali saranno gli sviluppi, per ora si aprono problemi che riguardano la manipolazione, il rapporto tra immagine reale e non. Dobbiamo in ogni caso rispettare il principio del copyright e i diritti degli interpreti». Lui stesso, ha rivelato ancora Fremaux, è stato oggetto di un esperimento in cui la sua voce creata con l’AI è stata utilizzata durante una sessione di formazione dove non poteva essere presente: «Io continuo a credere che un’intuizione come quella della madeleine di Proust non possa che nascere dalla mente umana».
Nel Festival che un anno fa ha battezzato il premio Oscar Anora e che oggi torna a registrare una forte presenza Usa, la politica dei dazi avviata da Trump potrebbe avere ripercussioni: «Non sono un economista e non ho gli strumenti adatti per capire che cosa potrebbe succedere. Mi sembra che finora Trump stia annunciando ora una cosa ora un’altra, tutta diversa. Ho l’impressione, anche guardando a quello che è successo dopo il Covid, che il cinema trovi sempre una sua maniera per continuare a esistere e che sarebbe veramente un danno se quello americano smettesse, proprio ora, di essere così vivace». L’esplosione delle piattaforme ha fortemente modificato il panorama cinematografico, ma ai colossi dello streaming il Festival di Cannes ha risposto restando fedele alla sua regola ferrea: «In gara per la Palma – ricorda ancora una volta Fremaux – possono essere proposte solo opere destinate in primo luogo al passaggio in sala. Non ho niente contro Netflix, anzi, penso che faccia un lavoro creativo molto rispettabile, ma è giusto che le piattaforme accettino la norma che prevede il loro contributo alla creazione dei film».
I divi d’oltralpe danno pensieri. Da una parte Bardot che spara a zero contro il cinema contemporaneo, dall’altra Gerard Depardieu, processato per aggressioni sessuali, in attesa (proprio oggi) di giudizio: «Come cittadino – dice Fremaux – rispetto le decisioni del tribunale, vedremo che cosa accadrà» Se Depardieu venisse condannato, il festival accoglierebbe il suo ultimo film? «In questo caso – risponde Fremaux – si potrebbe porre una questione civile, il Festival cercherà di agire nella maniera migliore». Per rispondere a Bardot, il direttore chiama in causa il suo idolo Eddie Merckx che una volta ha detto «nessuno potrà mai affermare “dopo di me tutto è finito"». Ecco, fa notare Fremaux, «qualcuno dovrebbe ricordare a Bardot questa massima. Insieme ad altri attori ha fatto parte di una grandiosa stagione di cinema, oggi però parla da spettatrice e io non sono d’accordo con quello che sostiene. È convinta che in passato il cinema fosse un’esperienza gioiosa, ma io ritengo che lo sia anche oggi».
Guerre, persecuzioni, regimi totalitari e mobilitazioni per contrastarli saranno pane quotidiano della kermesse: «I tre film sull’Ucraina in programma oggi – spiega Fremaux – testimoniano l’impegno di artisti, cineasti, intellettuali nella difesa della verità. Il festival è politico perché lo sono gli autori, e noi li accogliamo. Penso anche a opere girate in forma clandestina come quella di Jafar Panahi. Abbiamo bisogno di questi eccezionali registi e mi spiace non poter avere in concorso le voci della Russia, a causa della decisione di bandirle, presa tre anni fa». Fremaux ricorda Put Your Soul on Your Hand and Walk della fotogiornalista palestinese 25enne Fatma Hassona, morta a Gaza, insieme a vari membri della sua famiglia, sotto le bombe israeliane, il giorno dopo l’annuncio della sua partecipazione al festival.
Niente nudi sulla Montée des marches, niente trasparenze esasperate, niente strascichi eccessivi che rallentano la passerella e creano anche problemi alle persone incaricate di far accomodare gli invitati alle proiezioni. Il dress code 2025 parla chiaro, e si sa che la pietra dello scandalo, 12 mesi fa, era stata Bella Hadid, praticamente senza veli sulla scalinata rossa del Palais. Le sneakers sono bandite, prevale la misura anche nelle calzature da sera. Ancora una volta i vertici della kermesse chiedono l’abolizione del rito del selfie in passerella, ma – c’è già da scommetterci– è proprio questo l’ordine che sarà più difficile far rispettare.