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 2025  maggio 13 Martedì calendario

Sette barche partite dalla Libia “sparite” con 250 eritrei a bordo

Sette barche sparite nel Mediterraneo centrale senza lasciare traccia negli ultimi 50 giorni e 250 persone partite dalla Libia e scomparse. Che vuol dire altrettante famiglie disperate che chiedono notizie sui loro cari anche se dopo tanto tempo non ci sono più speranze di ritrovarli vivi. Erano quasi tutti eritrei, perlopiù giovanissimi, ma c’erano anche donne e bambini. Di loro non parla nessuno, le lacrime dei parenti dispersi per il mondo e nei paesi di origine restano confinate sui social in un mondo parallelo al nostro. Finiranno probabilmente nel limbo, come il 90% delle vittime del Mediterraneo centrale, trasformato da decenni in una tomba liquida per i migranti. Ma a questa sorte si ribella, dando voce ai congiunti, Abhram Tesfay, rappresentante in Italia dell’opposizione al regime eritreo di Isayas Afewerki e punto di riferimento dei parenti che continuano a cercare no-tizie dei propri cari e a chiedere di riconoscere i corpi. «Le barche – spiega Abhram Tesfay – sono partite dalla Libia, da Zawiyah e da Misurata, rispettivamente il 17 marzo e il 24 marzo, poi il cinque, il 25, 26 e 28 aprile scorsi dirette in Italia. E non sono mai arrivate a destinazione. Non si hanno più notizie di almeno 250 persone, tutti giovani eritrei. Sulle imbarcazioni c’erano anche donne e bambini. I sopravvissuti sono stati in tutto tre».
Uno, un siriano, è scampato al naufragio di uno dei due barconi del 26 aprile e ha detto di essersi salvato a stento stando in acqua sette ore. Sul gommone secondo il testimone è scoppiato un incendio ed è affondato al largo della Tunisia.
«Oltre a lui – conferma Abhram Tesfay – non ci sarebbero sopravvissuti. Abbiamo creato un gruppo su Facebook con i parenti delle vittime che ci hanno mandato le loro foto per provare a riconoscere i corpi, ma non sappiamo a chi rivolgerci a Tunisi».
Invece del naufragio del secondo barcone, che trasportava 46 persone, 25 delle quali eritree, non si sa nulla.
«Ma il mare ha restituito a Misurata 18 corpi – prosegue l’attivista eritreo che vive in Italia da anni – recuperati dalla Mezzaluna Rossa sulla spiaggia. I famigliari anche qui ci hanno mandato le foto dei passeggeri, ma non sappiamo a chi inviarle».
Le partenze sono state organizzate da diversi trafficanti, i naufragi dimostrano che il numero di migranti è sempre alto e la fretta di fuggire da Tripoli dove c’è caccia all’africano nero dal Ramadan ha fatto aumentare prezzi e rischi. Due barche, quelle del 24 marzo e quella del cinque aprile, sono state riempite e messe in mare da un superboss eritreo ricercato da anni dall’Interpol, nome di battaglia Abdul Rezak. È in attività in Libia da anni, i rifugiati eritrei lo accusano di essere coinvolto nella messa in acqua del barcone naufragato a Lampedusa il 3 ottobre 2013. Si fa pagare molto perché garantisce imbarcazioni solide e viaggi sicuri, cioè senza venire intercettati dalla Guardia costiera libica che spesso riporta i migranti in Libia e li rinchiude in galera dove vengono trattati in modo inumano chiedendo riscatti alle famiglie per liberarli dalle galere. Abdel Rezak sarebbe stato inattività già alla fine del primo decennio del secolo in Egitto, nel Sinai, complice dei predoni beduini che uccidevano e asportavano gli organi per rivenderli sul mercato nero di chi non aveva la possibilità di pagare i riscatti.
«Abbiamo pagato 9 mila dollari per il viaggio dall’Etiopia alla Libia di mio fratello Robel – racconta A., rifugiato eritreo negli Stati Uniti – e poi altri sei mila ad Abdel Rezak che ci aveva promesso un viaggio sicuro per arrivare in Italia.Mio fratello e i suoi amici avevano tutti tra i 19 e i 21 anni. Hanno trovato un solo superstite che ha confermato che c’è stato un incidente e sono morti tutti». Anche lui vorrebbe vedere il trafficante, che si muove tra Libia ed Emirati Arabi, dietro le sbarre e ritrovati corpi dei loro cari per poterli riconoscere Ma sono morti di speranza, perciò figli di un dio minore.