Corriere della Sera, 12 maggio 2025
Intervista a Sveva Sagramola
Ha viaggiato nel deserto e poi in mezzo all’oceano, raggiungendo atolli disabitati. È stata da un lato all’altro del mondo, Sveva Sagramola. Mondo che, con il suo sorriso gentile, racconta da 27 anni nel pomeriggio di Rai3. «Ho visto tantissimi posti meravigliosi – ammette —. Sono stata a lungo in Africa: nel Mali, a Timbuctù, nella mitica città di sabbia. E poi in Burkina Faso, nel Togo, nel deserto del Sahara, dove ho viaggiato con i nomadi».
Un ricordo memorabile?
«Un anno – ero in crisi sentimentale – mi sono unita alla spedizione di due documentaristi conosciuti a Geo (il suo programma, ndr). Avevo chiesto loro: “Dove andate questa estate?” E loro: “Faremo cinque settimane di navigazione nel Pacifico”. “Perfetto, vengo anche io”. Un giorno, su un’isoletta che doveva essere deserta, vedemmo un filo di fumo: scoprimmo che ci vivevano, soli, due vecchietti».
La sua vita sembra un romanzo, un film. Anzi, tanti romanzi e film.
«Ma era un’altra vita, la mia vita di prima: sono stata una super viaggiatrice, poi però non mi sono più mossa. Sono un’altra donna: sono diventata mamma tardi, a 45 anni, e ho scelto di esserci sempre per mia figlia. Così ho messo da parte i viaggi, consapevolmente. L’amore ti fa fare cose che non ti aspetti».
Può dire che la maternità l’ha cambiata?
«Crescere una figlia in età adulta è bellissimo, perché ti prendi del tempo con più facilità. Le giovani mamme non hanno questa fortuna, devono conciliare mille cose e la società non aiuta: mi spiace molto, non si capisce che noi donne con un figlio ci espandiamo, diamo di più. Aver conosciuto tardi mio marito, quindi, mi ha dato dei vantaggi: avevo già raggiunto i miei obiettivi lavorativi e credevo che la maternità non avrebbe più fatto parte della mia vita. Mi dicevo: non ti è dato di avere figli e, anzi, vivevo l’ipotesi con una certa ansia. Non mi sentivo adeguata».
Invece...
«Invece, io che sono una ansiosa – soffro di ansia anticipatoria —, e una insicura cronica, posso dire che essere madre è stata l’unica cosa che ho fatto senza la minima ansia. Una specie di miracolo».
Il 29 aprile, per Mondadori, è uscito anche il suo primo libro illustrato (dal fratello, Cristiano), «Storia di Topino».
«L’ho scritto proprio per chiudere definitivamente il mio rapporto con l’infanzia di mia figlia Petra, che ora ha 15 anni. Topino era il suo peluche, quello che ancora oggi vedo tutto consumato per casa, mi fa un po’ pena. L’infanzia di mia figlia è stata tra le più belle epoche per me, me la sono goduta e l’ho protetta più a lungo possibile da tutte le cose brutte. Ma quando ho capito che era definitivamente finita, ho sentito il bisogno di scrivere questa storia, per separarmi da quel periodo».
L’incontro con suo marito pare aver cambiato molte cose. Come ha capito che era la persona giusta?
«Dopo anni e anni di terapia analitica. Sono una persona molto complessa, nel tempo ho compreso che mi avvicinavo a persone sbagliate perché in realtà non sono mai stata in grado di affidarmi. Avevo una grande paura dell’abbandono. Mio marito era l’uomo che prima non avrei mai guardato: l’uomo possibile, leale, che non ti abbandona e che quando ti dice una cosa la fa. Per fortuna l’ho incontrato quando avevo capito tutto questo. E, attraverso i figli, in qualche modo, riesci a cicatrizzare anche tante ferite».
Dietro il sorriso sereno e gentile, insomma, c’è un mondo complesso. A che ferite si riferisce?
«Ne abbiamo tutti quanti, per questioni famigliari, relazioni, mancanze. Sono i nostri i buchi neri, le nostre fragilità. Ho avuto una infanzia bella, ma fino a un certo punto: ho tre fratelli ma i miei si sono separati ed è stata una separazione con tanti problemi. Non è stato facile. Ho sempre avuto una sensibilità spiccata e una testa che frullava: ho vissuto tante vite».
Conduce «Geo», su Rai3, da 27 anni.
«Sono in diretta praticamente ogni pomeriggio. Io ci metto la faccia ma è un enorme lavoro di squadra. Mi è capitato di vivere momenti difficili, ma questo impegno ti aiuta a reagire: come quando è mancato papà e ho deciso di rientrare il giorno dopo, perché c’erano in ballo troppe persone. Oggi ho 61 anni, ho imparato a dare importanza alle giuste cose e la disciplina ferrea che ho dedicato al mio lavoro mi ha aiutata».
Ha iniziato a occuparsi di ambiente quando pochi lo facevano.
«Se ne parlava in circoli ristretti. Nel programma, all’inizio, raccontavo soprattutto le meraviglie del nostro mondo. Dopo qualche anno è esplosa la tematica ambientale e mi sono trovata a fare qualcosa che mi ha dato molto senso: aiutare le persone a essere consapevoli, puntando sempre sulle soluzioni più che sul catastrofismo».
Napolitano l’ha nominata Cavaliere al Merito.
«Un onore enorme. Quando me lo dissero caddi dal divano. È un riconoscimento di cui sono orgogliosa. Come della mia laurea, con una tesi in antropologia culturale, che ho preso nel 2008, su insistenza, ancora una volta, di mio marito: mi mancava solo la tesi ma non la davo da anni. Lui mi ha spinta, facendo ogni giorno il suo compito come sposo e come padre, permettendomi di fare il mio percorso tenendo lontani i sensi di colpa».
La sua carriera è iniziata con Minoli.
«Ha segnato tutta la mia vita professionale, ha visto in me delle cose che io neanche sapevo di avere. Mi ha permesso di entrare a lavorare nella squadra di Mixer: un’occasione che non ho sprecato. Ancora oggi porto con me i suoi insegnamenti. Il primo è che la tv è un lavoro di gruppo, quindi mai montarsi la testa. Poi, quando intervisti qualcuno devi agganciarti a quello che dice, non andare avanti con le domande fatte a tavolino. Minoli mi ha insegnato il mestiere del televisionista, come lo chiama. Gli sono eternamente grata».
In quegli anni frequentava la redazione di «Mixer» anche Gabriele Muccino, vero?
«Sì, poco prima della sua esplosione al cinema girava documentari. Eravamo amici. Poi Minoli ci mandò inviati. Insieme facemmo un viaggio molto bello: era la mia prima volta in Africa. Eravamo due trentenni impegnati a fare questa esperienza stupenda, viaggiammo per il continente, facendoci anche ospitare da una tribù Samburu: durante una loro festa, eravamo seduti attorno al fuoco dove loro cuocevano una capra in modo molto rudimentale. Nel mentre, facevano le loro danze, emettendo suoni profondissimi: Gabriele era così preso da quel momento, esaltato da quella esperienza, che a un certo punto di getto si avventò sulla carne di capra, quasi cruda. Fu una serata magica, diventammo ancora più amici».
C’è chi la paragona a Licia Colò. Cosa pensa di lei?
«Licia è stata una antesignana, la prima ad aprire la strada alla divulgazione ambientale al femminile. Inoltre, le prime due edizioni di Geo le ha condotte lei: è un volto molto potente, non a caso per anni la gente mi diceva “ah, tu sei quella che conduce il programma di Licia Colò”. Non dico che l’ho sofferto, ma... Oggi ci vogliamo bene, siamo in ottimi rapporti. E anche io sono diversa: lei ha uno sguardo sull’ecologia, è una biologa pura, mentre il mio sguardo è più da antropologa. Inoltre lei ancora adesso viaggia... sua figlia ormai è grande».
E lei? Tornerà a viaggiare?
«Forse, a volte me lo domando. Chissà, nel caso sarà un’altra delle mie mille vite»