il Giornale, 12 maggio 2025
Damiano David: "Diventato una rockstar mi sono sentito perso"
Dunque, Damiano, i Måneskin sono soltanto in pausa?
«Quando torneremo insieme, io sarò un artista migliore di prima».
Intanto pubblica il disco Funny little fears, letteralmente «piccole paure divertenti».
«La scintilla di tutto sono state le mie paure, che ho tenuto chiuse dentro di me per tanto tempo. Parlandone e cantandone, ho scoperto che sono anche divertenti, mi prendo gioco di loro e talvolta mi sono anche vergognato di averle provate».
Però rispetto ai Måneskin in queste quattordici canzoni il rock è il grande assente.
«Qui ci sono le mie influenze musicali. Il suono della band appartiene alla band e io non rubo a casa mia». (sorride – ndr)
Damiano David ha 26 anni, è nato qui a Roma e fino al 2017 cantava con la sua band poco distante da qui, in via del Corso, con il cappello per terra a raccogliere gli spicci. Adesso è sul palchetto dei Forum Studios di Ennio Morricone, dove hanno registrato musica Bacalov, Piero Piccioni, Trovajoli, De Gregori e chissà quanti altri, mentre parla del suo primo disco da solista che esce il 16 maggio in tutto il mondo ed è l’istantanea di un cantante che è un po’ sex symbol e un po’ solo symbol, ossia giovane simbolo di una musica che, evviva!, sfugge alle maglie del rap o dell’urban e pesca a ritroso nel pop più accademico, nella pomposità da musical, persino negli anni Cinquanta prima di Elvis. Insomma, è un «pout pourri» assai kolossal con una produzione che non a caso è hollywoodiana tanto è rotonda, imponente, senza spigoli. Una sorpresa, dai diciamolo, per chi è rimasto fermo ai Måneskin di Zitti e buoni (primo posto Sanremo 2021) ma non per chi ha seguito i brani che hanno anticipato questo disco, cioè Silverlines, Born with a broken heart e Next summer che sono l’altra faccia della medaglia e dentro un disco della band difficilmente si troverebbero a casa. Canta pure diversamente, in questi pezzi, quasi a dire occhio che io non sono soltanto quello là che avete ascoltato finora. Dopotutto non aveva senso rifare i Måneskin senza gli altri Måneskin e infatti nessun cantante di un gruppo ci ha mai provato. È anche vero che, da Mick Jagger in avanti, anzi in giù, difficilmente qualcuno ha avuto più successo da solo che in compagnia però chissà. Di certo il Damiano David di oggi, educatissimo come da copione e con una semplice camicia bianca a righe su pantaloni grigi, è diverso anni luce da quello che incontrò per la prima volta la stampa per il disco Il ballo della vita, titolo che giganteggia come tatuaggio sul petto di questo ragazzo ormai più cosmopolita che italiano visto che il tour mondiale parte praticamente da un festival a Seoul, passa dall’Italia a ottobre (il 7 al Forum di Milano, l’11 e il 12 a Roma), finisce a Washington poco prima di Natale ed è già una bella collezione di tutto esaurito. Quindi per un po’ i Måneskin saranno ancora in libera uscita, diciamo per un anno e mezzo abbondante, e sarà difficile rivederli insieme prima del 2026. In fondo la celebrità dilata tutto, anche i tempi.
Comunque, Damiano, passando da Via del Corso al mondo avrà accumulato un bel campionario di paure.
«Difficile immaginare che, avendo un successo così grande con la band, si potesse essere disorientati. Io invece provavo un senso di sconforto e di tristezza che non capivo davvero da dove venisse. Mi sentivo un po’ perso».
L’autoanalisi con la musica.
«È successo di buttare dei pensieri sul foglio senza avere una reale coscienza finché non sono arrivato a rileggermi, come fossi proprio una terza persona, e anche i brani del disco che non sono firmati da me comunque mi raccontano come se li avessi scritti io».
Il momento più complicato?
«Quando mi sono ritrovato con sette o otto brani già pronti».
Avrebbe dovuto essere il contrario.
«In realtà mi dicevo: Ma io sono davvero capace di andare avanti da solo senza i miei compagni?».
Poi?
«Ho capito che i due percorsi sono separati e vivono di vite diverse. Essere in quattro ci ha dato molta forza. E quando tornerò nella band sarò un artista migliore di prima».
Perché?
«Perché ho molta fiducia di quello che abbiamo fatto insieme e non credo che ciò che farò io o faranno gli altri da soli oscureranno mai quello che sono i Måneskin e che hanno fatto insieme. Se anche non riuscissimo a pubblicare altri successi, rimane ciò che abbiamo costruito».
Zombie Lady, il singolo che esce venerdì 16, è vagamente rock e cita La sposa cadavere di Tim Burton.
«È uno dei miei film preferiti di sempre. Per me è molto romantico e a me piace rubare un pezzettino delle cose che mi piacciono. Inoltre l’avevo rivisto proprio il giorno prima di scrivere questo testo, quindi mi è venuto spontaneo farlo».
Tra le sue «piccole paure divertenti» non c’è manco un brano cantato in italiano.
«Mi piace poco quando ci sono lingue diverse nello stesso disco e volevo che questo disco avesse una integrità anche linguistica. Ovvio che io conosca meglio l’italiano, ma l’inglese è spesso molto più diretto».
Ha cantato in inglese a ogni latitudine.
«Il posto dove mi sono trovato meglio è stato il Sudamerica, per come ti accolgono e come ti trattano. Ma l’unico posto dove davvero non sei a casa tua è, per me, il Giappone. Lì capisci davvero che sei in un altro mondo e devi soltanto iniziare ad accettarne le regole».
Vive praticamente a Los Angeles a un passo dal cinema. Tentazioni?
«Non ho proprio velleità. ma se qualche regista arrivasse con una idea di film nel quale c’è bisogno di me, e soltanto di me, beh, potrei pensarci seriamente».
Inizia l’Eurovision, dove avete vinto nel 2021. Dicono che sabato potrebbe essere il superospite della finale.
«La sera prima c’è la festa di lancio del mio disco, la vedo proprio dura che io il giorno dopo vada a Basilea...».