ilgiornale.it, 12 maggio 2025
Giustizia in rosso, il Palazzo di Roma brucia 108 milioni. Ma nessuno macina tanti procedimenti
Un’azienda in rosso. È il Palazzo di giustizia di Roma, senz’altro la più grande fabbrica di procedimenti giudiziari d’Italia. I numeri rappresentano un deficit importante, a cominciare dalle spese che si attestano a quota 212 milioni. I ricavi invece si fermano a 104 milioni. La differenza, il calcolo è matematico, è di 108 milioni. Sia chiaro, l’inchiesta di Moneta, la prima mai svolta nel nostro Paese su questo versante, non è e non vuole essere un atto d’accusa, semmai materia di riflessione: sappiamo bene che le cifre relative a indagini, processi e sentenze devono essere lette e interpretate per quello che sono. I magistrati svolgono un compito fondamentale e complesso e quel che anzitutto preme allo Stato è che essi mettano a nudo le attività criminali e allo stesso tempo regolino i conflitti che si aprono nella società.
Ma resta l’esigenza di razionalizzare e non sperperare le risorse – anche quelle economiche, che non sono infinite – e soprattutto di migliorare il sistema. Esigenza che emerge in tutta la sua dimensione al termine di questo breve viaggio, in due puntate, nelle cittadelle giudiziarie della capitale e di Milano. Alcuni dati ci sono stati negati e pesa in particolare l’assenza di risposte da parte degli uffici requirenti, la Procura e la Procura generale di Roma.
Quel che emerge è comunque significativo di per sé: in particolare nel 2024, l’anno della nostra analisi, sono pervenuti ai giudici qualcosa come 377.379 procedimenti e ne sono stati definiti 324.443. Già qui si nota un debito, anche se non mancano gli sforzi per colmare le lacune e ridurre gli arretrati. In questo senso è da sottolineare il trend virtuoso della Corte d’Appello che nel 2024 ha sfornato 43.271 sentenze e provvedimenti vari contro i 33.022 procedimenti ricevuti. Il saldo è largamente positivo, con un più 10.249 che diventa lo specchio di una giustizia che, in particolare nelle cause civili, finalmente ha cominciato a stare al passo con i paesi più avanzati d’Europa.
Insomma, il pregiudizio sul sistema italiano, the italian torpedo (il siluro italiano) come l’ha battezzato di recente il Financial Times, comincia a essere superato da un’organizzazione finalmente all’altezza del gravoso compito. Perlomeno in un ufficio strategico e delicatissimo come la Corte d’Appello di Roma.
Negli uffici sono schierati circa duemila soggetti: 1.525 sono i cancellieri e più in generale i dipendenti amministrativi, 475 i magistrati. Il personale amministrativo costa 57 milioni 831 mila euro, ma ben 23 milioni 793 mila euro arrivano dai benedetti fondi del Pnrr che naturalmente sono a scadenza così come i relativi beneficiari: 721 rinforzi, il cui destino è però incerto. Verranno incardinati nell’amministrazione o messi fuori? Forse si arriverà a una soluzione ibrida, con innesti e addii. Le 475 toghe pesano invece (secondo una stima condivisa con gli esperti del settore) per 54 milioni 448 mila euro.
Fin qui le forze in campo. Sono poi da valutare le spese che si riferiscono a due grandi aree: quelle cosiddette di giustizia e quelle relative al funzionamento del Palazzo. Le spese di giustizia sfiorano 70 milioni di euro e più precisamente 69 milioni 340mila euro. Questo insieme può essere diviso in almeno tre voci: le spese per il gratuito patrocinio, ovvero le parcelle degli avvocati che assistono chi abbia un reddito modesto, in fondo alla scala sociale; poi le spese per le perizie e infine quelle per la custodia dei beni sequestrati. Sono fuori da questo conteggio le intercettazioni che sono a carico, per la gran parte, della Procura della Repubblica. I numeri non sono stati forniti nonostante le nostre sollecitazioni, ma si può ricordare che Milano ha speso nello stesso periodo circa 8 milioni e mezzo di euro. Una cifra importante, sebbene lontana da certi conteggi che sono circolati nel tempo.
C’è poi il capitolo delle spese di funzionamento del Palazzo che dipendono in gran parte dalla Corte d’Appello: luce, gas, riscaldamento e il resto. Il calcolo finale è di 31 milioni 78mila euro. Se quindi vogliamo sapere quanto incide la giustizia della Capitale nelle sue principali articolazioni (tenendo fuori la magistratura onoraria e il tribunale per i minori) dobbiamo sommare le voci appena citate e raggiungiamo così i 212 milioni indicati all’inizio (per la precisione 212.697.279 euro). Tanto? Poco? A ben vedere il costo è relativamente modesto se pensiamo alla funzione di straordinaria rilevanza affidata al potere giudiziario e dunque alle ricadute sulla società.
Più critiche sono le tabelle relative ai ricavi: poco più di 43 milioni e mezzo arrivano dal contributo unificato, l’obolo al casello di partenza dei procedimenti civili, altri 27 milioni dall’imposta di registro. Che invece è alla fine. Siamo appena sopra 70 milioni cui va aggiunto il valore delle confische. Va però segnalato che le confische seguono due binari diversi: in parte sono il frutto di sentenze di condanna, che spesso colpiscono a freddo la criminalità organizzata. Qui la voce, incompleta, è di 20 milioni 330mila euro. Mancano però all’appello gli immobili confiscati alla criminalità dalla sezione misure di prevenzione.
Arriviamo così poco oltre i 90 milioni. C’è poi un ultimo paragrafo ed è quello che riguarda Equitalia Giustizia, la società che recupera le spese di giustizia.
Il meccanismo funziona così: i costi vengono anticipati dalla macchina giudiziaria, poi in caso di condanna, e solo in quel caso, lo Stato prova a riprendere quanto ha versato fra perizie, intercettazioni e tutto il resto. C’è poi il corposo flusso del cosiddetto contributo unificato, che fino a qualche mese fa veniva dribblato da avvocati disinvolti. Equitalia Giustizia fa quello che può ma molti resistono in vari modi e alla fine non versano un centesimo. In conclusione, i ricavi per questa voce sono poco sotto 13,5 milioni. Il totale esatto è 104.653.578 euro che si confronta con i 212.697.679 euro che rappresentano i costi.
Insomma, le spese prevalgono sui ricavi con un segno meno di circa 108 milioni. Ma sono allo studio misure per rendere più efficiente la macchina. In particolare, come accennato, è cambiato il meccanismo di raccolta del contributo unificato che prima si inceppava alla stazione di ingresso: di fatto oggi questo non è più possibile perché il processo non decolla senza la certezza dei versamenti. Una iniziativa che, secondo le prime stime, potrebbe valere qualche milione per Roma ma molto di più su scala nazionale.
Dunque, fin d’ora possiamo anticipare che il disavanzo è destinato a ridursi già quest’anno. Certo, a Roma manca l’effetto indiretto ma pesantissimo del cosiddetto Rito Ambrosiano, inventato dalla locale Procura. Negli ultimi anni i pm milanesi hanno consentito di incamerare più di 5 miliardi costringendo i grandi brand della moda, della logistica e della distribuzione a scendere a patti su ipotizzate elusioni-evasioni fiscali. Difficile immaginare che ciò possa accadere anche a Roma, quantomeno non in quelle dimensioni.