La Stampa, 11 maggio 2025
Intervista a Margherita Cassano
Il numero delle donne magistrato supera oggi quello dei colleghi (sono il 56,2% a marzo 2025 dati Csm) ma nei ruoli apicali ci sono sempre più uomini, il 71%. A “rivoluzionare” le statistiche la storia di Margherita Cassano, 69 anni, fiorentina, pm e giudice dal curriculum inattaccabile. È marzo 2023, 60 anni dopo l’entrata in vigore della legge (66/1963) che ha aperto alle donne l’ingresso in magistratura, quando il plenum del Csm decide all’unanimità la sua nomina a presidente della Corte Suprema di Cassazione, la prima al femminile nella storia della magistratura. In realtà Cassano aveva già messo fine al monopolio dei togati uomini ai vertici della Corte Suprema nel 2020, prima toga rosa nominata Presidente Aggiunto. «Pochi conoscono la Cassazione bene come lei», ha dichiarato nel giorno del suo insediamento il presidente uscente Pietro Curzio. Nel 2003 Cassano fa il suo ingresso in Corte Suprema come componente della Prima sezione penale occupandosi di omicidi, criminalità organizzata, esecuzione penale, ordinamento penitenziario; vi resterà fino al 2015. Prima, dal ’91 al ’98, è stata pubblico ministero nella Direzione Distrettuale Antimafia (Dia) di Firenze dove ha seguito inchieste su associazioni a delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti; poi eletta al Csm tra le fila di Magistratura Indipendente, ha presieduto la 6a e la 9a Commissione ed è stata membro della Sezione disciplinare. Dal 2015 presiede la Corte d’Appello di Firenze e nel 2020 torna a Roma in Corte di Cassazione, chiamata ad infrangere il primo grande tabù della storia del “Palazzaccio": prima toga rosa “vice” e poi Primo Presidente, al vertice della giurisdizione. Margherita Cassano è membro di diritto del Csm e Presidente del Consiglio della giustizia militare, nel Board della Rete dei Presidenti della Corti Supreme europee. La incontriamo nel suo ufficio.
A chi è andato il primo pensiero dopo la nomina?
«A mia madre che per 45 giorni non ha potuto vivere questa gioia» dice, e si commuove.
In magistratura dal 1980: avvertiva pregiudizi per il fatto di essere un giudice donna?
«È capitato spesso che gli imputati non capissero che ero un magistrato perché a quei tempi le donne in servizio presso gli Uffici di Procura erano poche. I colleghi mi hanno accolto e supportato».
Suo padre Pietro Cassano ha presieduto per oltre 15 anni la Corte d’Assise di Firenze trattando processi di terrorismo ed eversione. Erano anni pesanti per i magistrati.
«Sono stati anni pesanti sia a livello personale che per la vita del Paese. Mio padre, un uomo saldo nei principi e di grande equilibrio, è riuscito a trasmetterci un senso di fiducia nello Stato e di grande serenità nonostante tutto».
Suo padre l’ha distolta o spinta alla carriera di magistrato?
«Era convito che il futuro appartenesse alla scienza e che il lavoro di magistrato non fosse adatto per una donna – sorride – destinato a proiettarla in una realtà troppo pesante. Era moderno ma anche protettivo».
Perché il numero delle donne in ruoli apicali in magistratura è ancora così limitato?
«La magistratura è un corpo professionale che, nel tempo, è stato presidiato da regola sempre più avanzate nella ricerca del doveroso equilibrio tra esigenze di organizzazione degli uffici e tutela delle esigenze familiari. Non altrettanto accade nel lavoro privato e nel mondo delle libere professioni. Penso alle avvocate che spesso non hanno nessuna tutela e rischiano di perdere il lavoro se prediligono in via esclusiva la cura dei figli in tenera età».
Un tema importante.
«Che meriterebbe maggiore attenzione e approfondimento. Nel nostro lavoro esaminiamo casi di donne a cui il datore di lavoro, prima dell’assunzione, fa firmare un foglio contenente le dimissioni da utilizzare in caso di maternità. La casistica giurisprudenziale mostra una situazione lavorativa femminile a tratti inaccettabile».
Torniamo a perché le toghe rosa non arrivano ai vertici.
«Scontiamo un ritardo storico derivante dal fatto che solo nel 1965, dopo la legge che consentì il loro accesso alla magistratura, le prime donne hanno superato il concorso. Inoltre l’esercizio di incarichi semidirettivi o direttivi spesso comporta lo spostamento in territori lontani dal proprio nucleo familiare che non sempre si conciliano con esigenze di cura e di assistenza cui dalla donna viene attribuito preminente rilievo. Un profilo di autoesclusione che sarebbe utile approfondire».
La Corte Costituzionale ha aperto alle adozioni internazionali per i single.
«Una pronuncia importantissima perché mette al centro gli interessi del minore».
Lei non si è mai sposata e non ha avuto figli. Avrebbe adottato da sola un bambino?
«Ora sono troppo vecchia e al tempo non era possibile, altrimenti ci avrei pensato seriamente. L’adozione è una scelta di civiltà».
Condivide il concetto di famiglia queer coniato da Michela Murgia?
«Il concetto di dimensione affettiva di famiglia si sta arricchendo: accanto alla famiglia tradizionale, che ha un suo preciso fondamento anche costituzionale, esistono tante realtà di affetti che creano una trama preziosa per la vita di ognuno di noi. Personalmente sono molto attenta a coltivare l’amicizia che reputo un dono. Condivido gioie e dolori con amici e amiche che sono altrettanti “fratelli e sorelle"».
Però siamo sempre più soli e individualisti, nell’era dei social.
«Occorre avere la forza di uscire da noi stessi, superare il senso di smarrimento forse acuito dal contesto internazionale. Il periodo pandemico ha comportato una regressione nelle relazioni a livello sia personale che lavorativo».
Dopo la pandemia è quasi raddoppiato il numero di adolescenti a rischio isolamento sociale.
«Se gli adulti cambiano –perché anche gli adulti commettono l’errore di isolarsi, rifugiandosi dietro il mezzo tecnologico, per evitare di fare i conti con le proprie fragilità – forse riescono ad essere trainanti per i ragazzi».
Cinque anni dopo, il #metoo ha cambiato le cose?
«Non può essere un processo a formare una nuova coscienza. Quando si arriva in tribunale siamo già dinnanzi ad una patologia, invece bisogna prevenire e la prevenzione si fa in famiglia, a scuola, con la cultura. Anche attraverso una serie di messaggi sociali diversi che rispettino il ruolo della donna nella società e il suo corpo».
Cosa apprezza in tv?
«Alcuni telegiornali, dibattiti e Un posto al sole, lo seguo da 25 anni con grande fedeltà; un prodotto intelligente, rispecchia un’Italia che mi piace».
L’incontro professionale che le ha cambiato la vita?
«Con Piero Vigna (già Procuratore Nazionale antimafia, ndr) e Gabriele Chelazzi (il pm che coordinò le indagini sulle stragi del ’93-’94, ndr), riferimenti costanti della mia vita. Resta un’amicizia profonda con le mogli».
Ha deciso di rompere il silenzio e scelto parole dure per difendere la Corte dalle polemiche sollevate da alcuni esponenti della maggioranza, dopo la sentenza su Nave Diciotti.
«Il comunicato è stata una scelta sofferta nata da una duplice volontà: riaffermare un rispetto reciproco tra le Istituzioni, e di far comprendere la distinzione tra critica legittima e inutili insulti che minano il fondamento di uno Stato di diritto. Abbiamo necessità di aiutarci e rispettarci gli uni con gli altri».