la Repubblica, 11 maggio 2025
Dolton. Droga e pistole nella villetta dell’infanzia “Ora un segno di Dio”
Li ho visti io, con i miei occhi, spacciare crack nel cortile posteriore della casa dei vicini, proprio dietro l’angolo. E poi urla, insulti, violenze di ogni genere. Chiamavamo la polizia, ma era inutile: nessuno voleva correre il rischio di venire a salvarci. Vivere qui è stato un incubo, davvero. Per anni ho pregato che cambiasse. Poi la madre degli spacciatori, che era il vero boss, è morta. Allora la famiglia si è disintegrata e sono andati via».
Il fatto singolare è che mentre Donna Sagnà Davis racconta questa storia di ordinaria follia, la sua bocca sorride. Per un motivo logico e comprensibile, a dire il vero: «Non lo sapevamo neppure che la casa dei nostri vicini, diventata una crack house, fosse quella dove era cresciuto un cardinale. Ora che è stato eletto Papa siamo felicissimi, perché speriamo che cambi la nostra vita e quella del mondo intero». Il motivo è altrettanto sensato e saggio, e magari Leone XIV lo apprezzerà: «Se è cresciuto qui – ragiona Donna, allargando ancora di più il suo pacifico sorriso – il Papa conosce bene la povertà, quella vera. Perché l’ha vista con i suoi occhi. Sa bene, per esperienza diretta, a quali estremi orribili può spingerti. Tutti possono diventare poveri e cadere nella tentazione della droga. Ma lui non è uno che viene da Park Avenue a spiegarci quanto sia difficile la sopravvivenza degli indigenti, degli emarginati, dei dimenticati. È uno di noi, ci ha visti con i propri occhi. Questo dà un’enorme credibilità al suo messaggio, quando parla di pace e di aiuto ai bisognosi. Spero che torni presto a visitarci, nella casa dove è nato e cresciuto, per restituire la speranza al mondo, e magari pure a noi».
Questa scena avviene a Dolton,periferia di Chicago. La casa di cui parla Donna è una villetta a due piani di mattoncini rossi, che fino a giovedì nessuno si filava. Quando però il cardinale Mamberti ha annunciato felice “habemus Papam”,il mondo intero è cambiato. Questo è diventato il luogo dove è cresciuto un successore di Pietro, e certe cose non capitano per caso. Un missionario, oltretutto. E chissà se quando Robert accettò la richiesta degli agostiniani di andare in Perù, aveva in mente le parole scritte dal cattolico Graham Greene nel suo capolavoro “Il Potere e la Gloria”, che raccontava il sacrificio di un prete messicano non esattamente Papabile, eppure pronto a perdere la vita pur di compiere il suo dovere di “uomo dannato che mette Dio sulla bocca degli uomini”. Non lo sappiamo e tutto sommato non importa. Perché quello che conta nelle vite degli esseri umani sono poi i fatti, cioè le opere. E in missione Robert aveva scelto di andare, lasciandosi dietro Chicago, il suo vento, il lago e i grattacieli del potere economico e terreno.
La sua casetta di due piani e seminterrato era vuota e in vendita, fino a giovedì. Il proprietario si chiama Paul e l’aveva messa sul mercato per 199.000 dollari. In origine era 70 metri quadrati, soggiorno, cucina, tre stanze da letto, un bagno e mezzo. Ora è salita a 112 metri quadrati perché lo scantinato, dove magari il giovane Robert custodiva la bicicletta o chissà quale gioco della sua infanzia, è stato ristrutturato e reso abitabile.
Questa casa modesta ma dignitosa doveva essere apparsa come un sogno alla mamma Mildred, per crescere i tre figli John, Louis e Robert. È curioso come nel frattempo questo sia diventato un quartiere abitato quasi solo da afroamericani, perché si collega alle radici creole del Papa. La famiglia di sua madre era originaria di Haiti o Santo Domingo, misteri dell’incerta anagrafe del secolo scorso, e quando si era trasferita a New Orleans era stata censita come black, nera. Solo qualche anno dopo era diventata white, bianca, perché allora la confusione era grande. Se però questa storia è vera, e Robert Prevost ha effettivamente radici creole, oltre ad essere il primo Papa americano è anche il primo Papa nero, almeno per qualche quarto di nobiltà. Ecco allora che acquista improvvisamente senso, essere cresciuto in un quartiere abitato da afroamericani, che ora aspettano il suo ritorno come occasione unica di speranza e inattesa redenzione.
Perciò Kareem Davis, marito di Donna, esprime questo desiderio: «Giovedì, subito dopo l’elezione del Papa, il proprietario ha tolta la casa dal mercato. Mi auguro che non ce la metta mai più. Secondo me, andrebbe trasformata in un santuario. Un museo per raccontare la vita del Papa, ma anche in un luogo sacro di preghiera e riflessione, per tutte le fedi». Quindi aggiunge: «Magari servirebbe pure ad attirare gli investimenti di cui avrebbe bisogno la nostra comunità malandata e dimenticata, per aiutarla a rinascere».
Donna annuisce vigorosamente: «Non scherzo, davvero. L’ultima sparatoria qui è avvenuta un paio di giorni fa, propria là, dietro l’angolo. L’elezione del Papa ci restituisce la speranza, ci dice che tutto può mutare per il meglio. Ho pregato molto per questo cambiamento, quando ero circondata da violenza e droga, e credo che quanto è avvenuto a Roma sia un segno di Dio, qualunque sia il Dio in cui credete. Ora aspettiamo e speriamo che il Papa torni qui a predicare queste verità, per ridare la luce a noi e al mondo».