Sette, 11 maggio 2025
Maurizio Landini: «Avevo 16 anni, una mattina mi son svegliato... e i miei genitori dissero che dovevo lasciare la scuola»
«Una mattina, mi sono svegliato...». Un’altra mattina del 1976, invece, quando Maurizio Flaminio Landini aveva 16 anni, si ritrovò davanti papà Guerrino (partigiano, nome di battaglia: Pataia) e mamma Bruna: «Mi dissero che dovevo interrompere gli studi. Avevano provato a mantenermi, ma i conti non tornavano. In casa lavorava solo mio padre: dovevo unirmi a lui e andare a lavorare».
Parole che rimarranno impresse a vita nella mente del futuro segretario della Cgil: «Io volevo continuare a imparare. Volevo diplomarmi geometra. Sentivo il valore della conoscenza e del sapere per formarmi un punto di vista critico, libero e autonomo. Eppure, non protestai, né feci resistenza. Non potevo dare ai miei genitori nessuna colpa per la nostra condizione economica di svantaggio. Mi rimboccai le maniche e, come mi chiesero, andai a lavorare». Tuta blu, a saldare in fabbrica e nei cantieri della sua Emilia, «dove d’inverno il freddo ti entrava nelle ossa». È uno dei passaggi più toccanti di Un’altra storia (Piemme), l’autobiografia del leader del più grande sindacato italiano.
In oltre 200 pagine ci sono decine di aneddoti privati del sindacalista, che dietro al suo piglio radicale nasconde un cuore ben più tenero, che affonda le sue radici a San Polo d’Enza, profonda Emilia, ancora oggi il centro di gravità permanente di Landini, dove ci sono gli amici di sempre e dove l’ex leader dei metalmeccanici si materializza ogni volta che può, oggi accompagnato anche dalla scorta che lo protegge dopo l’assalto fascista alla sede della Cgil, a Roma.
Un’autobiografia rivolta in particolar modo ai giovani, per spronarli a battersi per i propri ideali, specie alla vigilia dei referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno prossimi. Uno strumento politico, ma non solo. Perché sfogliando queste pagine si capisce che Landini, a 63 anni e dopo oltre 40 di sindacato, aveva pure un’esigenza fisiologica: mettere nero su bianco tante emozioni accumulate e il significato di tanti affetti.
A partire da quello più intimo, finora chiuso a tripla mandata: l’amore per sua moglie, a cui il capo della Cgil dedica il libro: «A Laura, compagna di una vita, capace di starmi vicino in ogni momento senza voler mai apparire in pubblico». Una prima assoluta, visto che il suo nome di battesimo non si trova nemmeno facendo ricerche incrociate su Google. Avere una foto insieme? Impossibile.
Il dna di Landini – «Lando», così lo chiamano per scherzare gli amici – non è quello dei bambini più quieti: «A 8 anni caddi dalla bici e finii in coma: mia madre ebbe conferma della mia testa dura, cosa che tanti altri potrebbero testimoniare a distanza di anni» racconta.
«Quando mi risvegliai ricordo il maestro Laerte che veniva a farmi lezione in ospedale». Emozionato il ricordo della prima vacanza fuori dal porto sicuro di San Polo: «Quando avevo 13 anni andammo in campeggio nella Germania dell’Est». Ma il leader delle tute blu cosa avrebbe voluto fare da grande? «Il calciatore!», risponde d’impeto il milanista sfegatato. «Niente politica, per me esisteva solo il pallone: impazzivo per Rivera», racconta Landini, che con la maglia gialloverde della Sampolese era un mediano infaticabile, proprio «alla Oriali», anche se il paragone con l’idolo dei cugini-nemici interisti magari non lo farà impazzire.
«Il mister mi diceva di marcare la mezzala avversaria» ricorda ancora «deve essere stato lì che ho imparato a marcare stretto la controparte, da sindacalista». Sono i tempi della parrocchia, esperienza fondamentale per la sua formazione, sempre con la tessera del Pci in tasca: «Ho ricevuto tutti i sacramenti e ho pure fatto il chierichetto».
E oggi, che rapporto ha con la fede? «Credo nella giustizia sociale, nella fraternità, nella necessità di superare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nell’azione collettiva perché nessuno deve essere lasciato solo. Nella mia vita ho incontrato preti come don Luigi Ciotti e don Andrea Gallo da cui ho imparato come il Vangelo e la Costituzione possono stare insieme nell’azione di ogni giorno. Ho avuto la fortuna di conoscere e dialogare con la comunità di Sant’Egidio. Laici e cattolici possono avere valori comuni forti e condivisi: la centralità della persona e la coerenza nei comportamenti. Del resto, le encicliche di papa Francesco Laudato sii e Fratelli tutti, sono rivolte senza distinzioni a tutte le persone ed invocano la necessità di realizzare qui ed ora una vera e propria rivoluzione culturale ed una radicale trasformazione sociale».
Ma dopo la vita cosa c’è? «Domanda molto impegnativa. Per ora mi sono sempre battuto per affermare, qui e ora, la libertà e la dignità delle persone nel lavoro e nella vita».
Riavvolgiamo il nastro. A 14 anni, e siamo nel 1975, in paese c’è voglia di tenere insieme persone con orientamenti diversi. E allora «Maurizio» organizza con i suoi amici una rassegna culturale estiva: «Pensate che venne a suonare anche Lucio Dalla: forse non si fidava granché e ci chiese di vedere le nostre tessere del Pci, per capire chi fossimo davvero».
Ma da «Landiniland» arriva un altro aneddoto mica male: «Venne una giovanissima Gianna Nannini. Ancora nessuno sapeva chi fosse: le chiedemmo di cambiarsi nella cantina sociale» ricorda il capo della Cgil. «A un certo punto mio padre entrò per prendere qualche bottiglia di vino e trovò la futura grande rockstar non proprio vestita».
In divisa
Oggi Landini è uno dei pacifisti più accesi, in particolare sulla guerra in Ucraina. E in Un’altra storia, a proposito, c’è un passaggio che non ti aspetti: «A vent’anni partii per il militare. L’obiezione di coscienza non mi aveva mai convinto: fare quella scelta mi sembrava una paraculata per non partire. Quando il momento arrivò non ne feci una tragedia. Mi ricordo che avevamo appena finito la Festa dell’Unità... Il giorno presi il treno e, dopo venti ore di viaggio, arrivai alla mia prima destinazione: Trapani, in Sicilia».
E il racconto della vita di Landini inizia a intrecciarsi anche con gli eventi più bui della nostra storia. C’è la mobilitazione generale per il rapimento di Aldo Moro. E c’è il ricordo commosso di Guido Rossa, l’operaio dell’Italsider di Genova ucciso nel 1979 perché aveva denunciato dei fiancheggiatori dei terroristi in fabbrica: «L’assassinio fu uno spartiacque. Diventò lampante che le Br erano contro la classe operaia».
La visibilità continua a crescere, mentre il futuro leader della Fiom continua pure a imbracciare la saldatrice e si specializza. Ma nell’aprile del 1983 il telefono squilla: è appunto un dirigente della Federazione Impiegati Operai Metallurgici. Chiedono al compagno Landini di fare il sindacalista a tempo pieno. Lui è spaesato: chiede consiglio ai colleghi, che lo spronano ad accettare. È il bivio chiave, perché da qui in poi non si fermerà più.
Fino allo storico scontro con Sergio Marchionne. Un conflitto sindacale senza esclusione di colpi, ma con la Fiat che aveva dei livelli di produzione assai più performanti rispetto a quelli odierni, drammatici, di Stellantis. E ora che l’amministratore delegato di Fiat non c’è più da 7 anni, chiediamo a Landini se in qualche modo lo rimpiange. «Non ho rimpianti. L’ho incontrato solo due volte e in occasioni formali» risponde il leader della Cgil. «Ci fu la possibilità di un faccia a faccia riservato, ma rifiutò».
E poi: «Il problema non è mai stato Marchionne, ma l’assenza di un vero e credibile piano industriale ed il tentativo di sconfiggere la Fiom e snaturare il sistema di relazioni industriali. E non a caso siamo giunti ad una situazione drammatica: quest’anno Stellantis produrrà poco più di 300 mila auto: siamo tornati ai livelli degli anni Cinquanta».
Il futuro
A 63 anni, per Landini, è anche il tempo di decidere cosa fare da grande. Tutti i leader della Cgil che lo hanno preceduto (Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani e Susanna Camusso) sono poi stati eletti con il Pd. Nel 2027, quando scadrà il suo secondo mandato, sarà tempo di politica anche per lei? «La Cgil ha sempre fatto politica e, per quello che mi riguarda, sempre con coerenza. Sono 15 anni che dicono “Landini fa questo perché vuole candidarsi”» conclude.
«Io non ho bisogno di entrare in politica. C’è un tempo per ogni cosa: ho iniziato facendo l’apprendista saldatore e sono stato eletto segretario generale della Cgil. È un grande orgoglio, e non ho nulla da chiedere». Mentre a San Polo gli amici di «Lando» sognano a occhi aperti: «Magari tornerà a fare il sindaco qui, a casa!». Da dove tutto è iniziato.
CHI È
LA VITA
Maurizio Landini è nato a Castelnovo ne’ Monti nel 1961, il padre era un ex partigiano e la madre casalinga: è quarto di 5 figli. Non ha potuto terminare gli studi da geometra e ha dovuto cominciare a lavorare come saldatore a causa delle difficoltà economiche della famiglia.
IL SINDACATO
Tessera del PCI a 20 anni, nel 1983 diventa funzionario della Fiom a tempo pieno. Dopo una lunga carriera interna, nel 2005 è segretario nazionale della Federazione Impiegati Operai Metallurgici. Il 24 gennaio 2019 è stato eletto segretario generale della Cgil, prendendo il posto di Susanna Camusso. Il suo secondo mandato scadrà il 24 gennaio 2027.