corriere.it, 11 maggio 2025
Eugenia Costantini e Laura Morante: «Da piccola non riuscivo a vedere i film in cui mia madre soffriva»
Notare che le accomuna uno sguardo intenso e magnetico è pacifica realtà. Ma Eugenia Costantini, della madre Laura Morante, si porta addosso molto d’altro. Libera e indipendente, come lei attrice, si muove nel cinema d’autore con una riservatezza che non è distanza ma misura. Nel raccontarsi ha la stessa femminilità materna e terrena, quella concretezza gentile e risoluta che rifugge i facili ricami. Cresciuta tra Italia e Francia, studia recitazione a New York, prima di lavorare con registi come Muccino, i fratelli Taviani, Loach, Veronesi, Genovese. A unirle anche l’amore per la Toscana e una casa nel grossetano.
Sua madre, Laura Morante, è nata a Santa Fiora: è un luogo che ha frequentato?
«Fa parte della mia vita. Passavamo l’estate tra Grosseto e il Monte Amiata, ma anche il Natale e altre ricorrenze. Tanti sono i ricordi coi parenti, i nonni, gli zii. Oggi continuo ad andarci con mia figlia Anita che ha cinque anni, proprio nella casa dov’è nata mia mamma».
Per questo motivo ha scelto di ambientare da quelle parti l’ultimo corto che ha diretto, «Niente»?
L’abbiamo girato nel grossetano, anche se non viene mai esplicitato. Volevo decontestualizzare sia il luogo che il tempo, nel dare al racconto un valore universale. Cercavo una provincia non immediatamente riconoscibile, ma che avessi vissuto in prima persona, e nella mia storia c’è sia quella francese che quella toscana. Il corto racconta di una tredicenne che tenta di farsi spazio in quel delicato passaggio di crescita. “Niente” è una parola che torna spesso, anche da adulti: si usa quando non si riesce a esprimere quello che si ha dentro».
Che adolescente è stata?
«Anch’io cercavo la mia dimensione, come tutti, con le difficoltà e gli inciampi del caso. Ho avuto una fase ribelle, un po’ indisciplinata. Amavo leggere, e coltivare amicizie che ancora oggi sono rete fondamentale nella mia vita».
La passione per la recitazione quando è arrivata?
«L’interesse per quel modo espressivo c’è sempre stato, vuoi per il mestiere dei miei genitori (il padre è Daniele Costantini, regista) e l’aria che quotidianamente respiravo. L’idea di poterla rendere professione è arrivata gradualmente, ma c’è voluto del tempo. Nel frattempo ho fatto altre cose, come frequentare l’università, seppur faticassi a stare sui binari del percorso accademico».
Sua madre l’ha supportata nel percorso d’attrice?
«Sì, in modo molto rispettoso. Nella nostra famiglia, se uno voleva fare qualcosa, lo faceva. Non ci sono mai state forzature di alcun tipo. Se avessi desiderato partire con lo zaino per il Sud America, non mi avrebbero fermata. Mai state pressioni, né ostacoli ai sogni».
Il mestiere dell’attore è fatto di assenze, tra set e tournée. Come ha vissuto il tempo condiviso e quello mancato con sua madre?
«Il vantaggio delle assenze è che portano con slancio presenze ancora più intense. È stato difficile, ovviamente, ma abbiamo trovato un equilibrio, nelle pause tra un set e l’altro, nei viaggi di lavoro. Stessa cosa sto cercando di fare con mia figlia, per non farle mai sentire alcuna mancanza. Resta un tema complesso, non solo per chi lavora nel mondo del cinema».
In quale ruolo le è piaciuta di più?
«Da piccola non riuscivo a vedere le scene in cui soffriva, si arrabbiava, piangeva… per questo preferivo seguirla in teatro. Dal palco scendeva col sorriso, e mi tranquillizzavo immediatamente. Rimasi incantata dalla trasposizione teatrale de Le relazioni pericolose di Monicelli, dove interpretava la virtuosissima Madame de Tourvel. Poi ho amato i primi film che ha girato con Nanni Moretti, Sogni d’oro e Bianca».
Qual è il consiglio che le ha dato e si tiene stretto, nel lavoro e nella vita?
«Più che consigli, mi ha dato il suo esempio. È una persona profonda, seria, che non si ferma mai alla superficie. Che riflette, snocciola situazioni e pensieri cercando soluzioni concrete. Mi ha trasmesso questo approccio rigoroso alla vita e al lavoro».
Caratterialmente siete simili?
«Siamo molto compatibili. Certo, discutiamo come in tutti i rapporti tra madre e figlia, ma poi finiamo sempre per capirci. Condividiamo lo stesso tipo di umorismo, abbiamo sguardi sul mondo e criteri simili per leggere la realtà e le persone. Ci riveliamo spesso di aver avuto lo stesso punto di vista sulle cose, sulle persone, ma anche sui film o i libri, così, d’istinto, senza nemmeno averne parlato prima».
C’è qualcosa che non le ha mai detto?
«Tutto quello che d’importante c’è stato, l’abbiamo sempre espresso. Niente che renda il rapporto incompiuto. Non ci sono parole ferme in gola, e in questo riconosco la fortuna che abbiamo».