corriere.it, 11 maggio 2025
Matteo Marzotto: «Marta, una madre atipica. Soffrì per mia sorella, lottò contro i pettegolezzi. Ora la sogno spesso»
È il suo primo giorno di scuola. Sua mamma le tiene la mano?
«Con tutte le sue positività, mia mamma non era quel tipo di mamma. Io ero anche il quinto figlio: molto viziato, ma un po’ meno guardato. Non era una mamma di tutti i giorni, non me la ricordo nei primi giorni di scuola, ma nelle grandi esplosioni di affetto». La mamma di Matteo Marzotto, 58 anni, era – ed è – la contessa Marta Marzotto, suo papà il conte Umberto Marzotto. Nel giorno della festa della mamma – «che da noi – dice – non era così celebrata come nella tradizione popolare, anche se con lei tutti i giorni era la festa della mamma» – Matteo è a Jesolo nel Villaggio Marzotto per la 23esima edizione del Seminario di primavera della Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica di cui è presidente. Una Fondazione legata alla storia della sua famiglia: di fibrosi cistica morì a 32 anni nel 1989 una delle sorelle di Matteo, Annalisa: «Quelle che incontro qui sono mamme coraggio. Io ne conosco ormai quasi tre generazioni. Pochi minuti fa mi hanno presentato una giovane coppia veneta con una bimba di un anno che partecipa per la prima volta. Avevano gli occhi pieni di energia e di entusiasmo. Non si sono spaventati o almeno non eccessivamente e hanno reagito a questa brutta notizia con grande forza, che è quello che consiglio di fare: oggi ci sono strumenti più potenti di un tempo e la diagnosi non è più solo pediatrica. Con la ricerca si può fare moltissimo».
Come reagì sua mamma?
«Male. Io non c’ero, sarei nato circa dieci anni dopo. È stata una tragedia nella sua vita. All’epoca – mia sorella era del ‘57 – si sapeva pochissimo della malattia. I bambini avevano una sopravvivenza di poche settimane. È stata l’inizio di una corsa di qua e di là in giro per il mondo, i suoi viaggi della speranza».
A sua mamma è toccata la tragedia più grande: sopravvivere a un figlio. Cosa provocò la sua morte a voi come famiglia?
«Annalisa era indubbiamente un legante tra noi tutti. Dopo la sua morte ci sono state dinamiche che hanno accelerato una significativamente minore unità della famiglia. Non solo perché era una giovane donna malata, ma perché aveva una sensibilità particolare. È stata come una mamma per me. Io dico sempre che ho avuto due mamme: quella biologica alla quale ero legato, ma anche la sorella che mi ha cresciuto e che è stata un esempio per me. Oggi è il mio angelo custode».
Che mamma è stata Marta?
«Una mamma atipica per i canoni tradizionali. Quando ci nasci e ci cresci poi diventa gioco forza naturale. Non è detto che sia stata una mamma facile: è stata una donna sempre coerente, non ha mai nascosto o non è riuscita a nascondere qualche debolezza, qualche fragilità, non solo in amore. Invecchiando forse è diventata meno sicura di sé stessa, ha molto sbagliato ma ha anche molto amato».
Mettiamo un po’ d’ordine negli amori.
«Ha avuto un amore traboccante per i suoi figli e per i suoi amici piu cari: viveva la vita ogni minuto, con grande determinazione, mai dimenticato le sue origini umili. Era figlia di contadini ed è sempre rimasta collegata a quel mondo. Ha voluto affermarsi come esempio che tutto può succedere nella vita, ma non per fortuna. È stata una donna tenace, mai volgare».
Parliamo dei suoi uomini.
«È stato detto molto, si è inteso dare aspetti pruriginosi. Io penso abbia avuto due grandi amori: mio padre e Renato Guttuso. Lucio Magri non è stata una persona importante. Mi sono trovato a raccontare che conosco signore che nel giro di un mese si levano molte più soddisfazioni di quelle attribuite a mia madre in una vita. I suoi amori erano condotti con molta più correttezza o trasparenza di quello che si pensi. Ho trovato il suo massacro mediatico di fine Ottanta il preambolo del mondo che stiamo vivendo: tutto in piazza, tutto trasfigurato».
Cosa le rimprovera?
«Alla morte di Guttuso, che io ricordo come un vecchio zio, se ne scrissero di tutti i colori. Alcuni si sono comportati in modo terribile. Se fossi stato in mia madre avrei combattuto di meno: la verità degli affetti sta in quello che si è effettivamente vissuto, non nel vederselo riconoscere dalla pubblica opinione. È stata una sua debolezza, che dopo la morte di Guttuso ha pagato cara».
La superò e diventò la Marta dei salotti. Insieme eravate una «coppia» pazzesca.
«Per più di vent’anni sono “uscito” con mia madre: la sera andavamo in giro insieme, conosceva la moda da decenni, ci ha sempre vissuto dentro, quando avevo dubbi sulle collezioni nelle diverse aziende dove sono stato andavo da lei col lookbook e lei immancabilmente sapeva dirmi se una collezione avrebbe funzionato o no».
Cosa ha preso, dalla mamma? La bellezza?
«Questo non lo so... Forse una certa capacità di comunicare: se voglio sono in grado di esprimermi, un certo approccio diverso, una certa trasparenza, curiosità. Non mi piace nascondere i miei errori, cerco di essere trasparente: le bugie sono troppo complicate...».
Lei è stato un gran seduttore. Cosa pensava sua mamma di Naomi Campbell?
«Era una donna di mondo, non esprimeva simpatia o antipatia. Sapeva che vivevo la vita appieno, ma erano tanti anni fa. Dopo tutta una vita di poca stabilità, quando è arrivata Nora (Shkreli, modella, ndr) che mia madre ha conosciuto e ha accolto con grande amore, tutto è cambiato. Aveva l’intuito di donna e di mamma, sapeva che quella giusta sarebbe arrivata. E così è stato».
Avrà montagne di aneddoti... Ce ne dica uno.
«Nel giugno-luglio 2002 avevamo acquisito il marchio Valentino e dovevo incontrare Valentino e Giammetti. Mia madre, con immediata intelligenza, mi mise in mano una foto: c’era lei, giovane e bella, nello studio di Valentino con Giammetti, e in un angolo c’ero io, piccolino, a cinque anni. Con quella foto andai all’appuntamento ed è stata una mossa decisiva. Anche se poi sono stati anni esplosivi con Valentino».
La sogna mai?
«La sogno spesso, sì. Così com’era: una mamma con un figlio è sempre connessa».