Corriere della Sera, 11 maggio 2025
Alle mamme? Più fatti che fiori
Dice l’Assofioristi che «gli omaggi floreali rimangono tra i doni più scelti per celebrare la festa della mamma». E che «per la ricorrenza 2025 ci si aspetta una spesa di oltre 200 milioni di euro per piante e bouquet, con vendite che tornano vicine ai livelli pre-pandemia». Molto bene, i fiori «ci stanno». Ma di certo non bastano. Le mamme aspettano da figli, mariti e compagni prima di tutto le opere di bene. Ci si può sbizzarrire: il solenne impegno per un anno a garantire l’approvvigionamento del frigorifero; un buono di presa in carico completa del bucato, comprensivo dell’atterraggio della biancheria ben piegata nei cassetti; o magari, vista la stagione, la responsabilità in toto del cambio degli armadi.
Non stiamo scherzando: la festa della mamma potrebbe essere l’occasione per riflettere all’interno delle famiglie sulla suddivisione del lavoro di cura. In Italia tocca per il 70% alle donne (dati Ocse). Stanno peggio solo le greche, che arrivano al 73. Tedesche, francesi e inglesi si attestano rispettivamente al 62, 63 e 64%. La Spagna si ferma al 66. In Svezia la parità è vicina, il lavoro domestico svolto dalle donne è «solo» il 56%. Sempre secondo l’Ocse, in valore assoluto, le italiane dedicano ogni giorno 175 minuti in più al lavoro domestico rispetto ai loro mariti e compagni. In nessuno degli altri Paesi con cui amiamo paragonarci il divario è così evidente: 164 minuti in più in Grecia, 132 in Ungheria, 143 in Spagna, 108 nel Regno Unito, 92 in Germania, 90 in Francia.
Centosettantacinque minuti equivalgono a quasi tre ore al giorno. E anche se si sommano lavoro retribuito e no, le italiane lavorano molto più dei loro mariti e compagni. Per la precisione 88 minuti in più, poco meno di un’ora e mezza al giorno. La disparità del carico di lavoro emerge più evidente proprio nelle coppie in cui entrambi sono occupati. In Italia, una donna con figli impiegata a tempo pieno dedica all’incirca 60 ore alla settimana alla somma tra lavoro retribuito di cura, contro le 47 ore del partner. Ciò si traduce in circa 13 ore settimanali di «lavoro totale» aggiuntivo.
In Italia la disparità di trattamento tra uomini e donne sul lavoro retribuito fuori casa resta la più alta d’Europa. Dati e ricerche sono stati ricordati mille e mille volte. Abbiamo fatto progressi? Sì. Il problema è che quelli degli altri Paesi sono più rapidi e noi restiamo ultimi in classifica. Il motivo principale per cui le donne avanzano lentissimamente nella carriera, come imprenditrici o, più semplicemente, come lavoratrici – in Italia lavorano fuori casa solo 53 donne su 100 – è principalmente uno: le italiane tra le mura domestiche sono oberate da una quantità enorme di lavoro gratuito. Lo sanno bene le aziende che, di fronte a due candidati con pari formazione e capacità, inevitabilmente tendono a privilegiare gli uomini per un motivo molto semplice e razionale: sanno che non saranno «distratti» dalla spesa o dai colloqui con i prof dei figli.
I dati
In Italia i lavori di casa toccano per il 70% alle donne. Stanno peggio solo le greche, che arrivano al 73. Tedesche, francesi e inglesi si attestano rispettivamente al 62, 63 e 64%
Solo il 27% dei papà, secondo i dati Inps, utilizza il congedo di 10 giorni dopo la nascita di un figlio, che pure dovrebbe essere obbligatorio. Solo il 20% dei papà utilizza il congedo parentale che potrebbe arrivare fino a sei mesi. Non stupiamoci allora se il 20% delle mamme al primo figlio lascia il posto di lavoro, il 50% alla nascita del secondo. Finché la divisione dei compiti a casa non sarà fifty fifty difficilmente ci saranno pari opportunità per uomini e donne negli uffici, nei laboratori, nelle fabbriche. E scordiamoci che sia il multitasking a risolvere il problema: più che un vantaggio una fregatura per le mamme, utile solo a trovarsi più stanche a fine giornata.
Ma la soluzione non sta nemmeno tutta e soltanto nella condivisione dei compiti di cura. La condivisione è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per due motivi. Il primo: i tempi del lavoro sono ancora pensati per un lavoratore single senza figli e senza papà o mamma anziani. Il secondo: i genitori non sono supportati con i servizi necessari. Parliamo dei nidi, certo. Ma anche di aiuti domestici che ormai non possono essere considerati un lusso in una famiglia in cui entrambi lavorano.
Nemmeno l’ondata anti-diversità e inclusione che viene dagli Usa potrà mettere in ombra queste lampanti evidenze.