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 2025  maggio 09 Venerdì calendario

Intervista a Nicolas Maupas

«Si può amare davvero anche a vent’anni, anche prima di aver capito bene chi si è. Ci si scopre attraverso l’amore, è un percorso di crescita su binari che a volte si toccano e altre si allontanano. Certamente l’amore dei 15 anni non è lo stesso dei 25 o dei 35, ma l’adolescenza è l’età in cui un ragazzo o una ragazza comincia a uscire dal suo corpo e dalla sua testa e ad entrare nella vita di qualcun altro».
Nicolas Maupas, 26 anni, milanese di provincia con padre francese, è diventato famoso con la serie tv Mare Fuori e non si è più fermato: le altre serie Un professore con Alessandro Gassmann, Odio il Natale, Noi siamo leggenda, i film Sotto il sole di Amalfi e La bella estate. Ora è al cinema con L’amore, in teoria, di Luca Lucini, in cui interpreta uno studente di filosofia sensibile e riflessivo – agli antipodi rispetto al cliché del maschio alfa – che a 23 anni non ha ancora avuto una ragazza: «Ci sono tanti giovani che considerano emozioni come la paura e la tristezza una roba da sfigati, e confondono la violenza con la forza», dice Maupas. «Col mio lavoro cerco di portare sullo schermo modelli un po’ diversi».
Lei che adolescente è stato, Nicolas?
«Alle medie ho fatto fatica e integrarmi è stato complicato. C’era un gruppetto a cui non ero simpatico, mi prendevano in giro e tiravano schiaffi, io reagivo e la situazione peggiorava».
Cos’è cambiato al liceo?
«Che ho imparato a stare in mezzo alle persone, e a fregarmene dei commenti degli altri. Ma soprattutto ho trovato il mio gruppo di amici ed è diventato tutto più facile. A volte pensiamo di dover cambiare noi stessi per entrare nella scatola, e magari invece è proprio la scatola che è sbagliata».
A vederla oggi non sembra uno che ha faticato a farsi degli amici.
«Credo che succeda più o meno a tutti a un certo punto. Negli anni dell’adolescenza il corpo cambia e non ci si riconosce più, io poi in quel periodo sono stato costretto ad abbandonare il nuoto per un problema alla schiena e sono ingrassato. A 16-17 anni, quando ho cominciato a pensare a cosa fare dopo le superiori, ho sofferto anche di crisi di panico. Ma nel complesso gli anni delle superiori me li sono vissuti abbastanza bene».
Ora è sul set della terza stagione di Un professore, in cui recitò per la prima volta nel 2021: un po’ come tornare indietro nel tempo?
«Beh, sì, nella serie dovrei avere 18 anni... Più andiamo avanti con le stagioni e più sto stretto nel banco, ma sul set ci divertiamo: diventa una scusa per farci gli scherzi scemi di dieci anni fa».
Ma perché nelle serie teen recitano sempre attori più grandi? Così non si rischia di mostrare ai ragazzi dei modelli irraggiungibili?
«Portare dei minorenni sul set è più complicato, e probabilmente non ci sono tutti questi attori giovani già pronti; un ventenne, poi, può restituire quel periodo con più consapevolezza perché l’ha già vissuto. Forse per lo spettatore all’inizio è strano vedere un 26enne come me interpretare un liceale, ma poi si abitua».
L’amore, in teoria racconta le prime esperienze sessuali di Leone, il protagonista. Com’è stata la prima volta di Nicolas?
«Cosa devo raccontare? (Sorride imbarazzato; ndr). L’età precisa non la ricordo, sempre intorno ai 16-17 anni... Diciamo che ho vissuto un’esperienza molto simile a quella di Leone nel film, solo con qualche anno di anticipo. C’è stato un periodo in cui vedevo quel momento che si avvicinava e ci pensavo di continuo. Gli amici che avevano già fatto sesso li sentivo un po’ distanti, perché avevano affrontato quel passaggio. Farlo è stata una grande liberazione».

I ventenni di oggi come vivono l’amore?
«Sicuramente ci sono più libertà e meno vincoli rispetto al passato. Però io penso che l’amore dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo, e invece continuiamo a metterci sopra strutture, etichette, simbolini per riconoscere e differenziare. Così diventa più difficile viverlo con naturalezza».
I social hanno cambiato il modo di stare in relazione?
«Gli schermi eliminano molti filtri e non fanno percepire la distanza. Stando chiusi in una stanza a scrivere messaggi è più facile sentirsi sicuri, ma la vita reale è più complicata».
Ha mai usato Tinder o altre app di incontri?
«Mai, nemmeno prima di diventare un volto conosciuto. Non credo che sarei in grado di crearmi un alter ego digitale su una piattaforma: se lo facessi mi sembrerebbe di inserire un terzo incomodo fra me e l’altra persona».

Stiamo parlando dell’amore «in teoria», per citare il titolo del film. Ma in questo momento è innamorato, sta vivendo una relazione?
«Di queste cose non parlo mai, perché significherebbe decidere anche per qualcun altro. Sui social non metto nemmeno le foto degli amici: io ho deciso di fare l’attore e di espormi al pubblico, loro no. Tenere private le mie relazioni è il modo che ho trovato per godermele».

Un ragazzo della Generazione Z come trova, in una coppia, l’equilibrio fra il bisogno di stabilità e il desiderio di indipendenza?
«Non credo che avere qualcuno al proprio fianco possa rappresentare un limite o un freno, io non la vivo così. Ma è molto personale, se mi guardo intorno vedo l’amico fidanzatissimo, quello che non ha nessuna intenzione di impegnarsi e quello ancora indeciso».
Lei dove si colloca?
«In mezzo, come sempre (sorride; ndr). Sono convinto che ci si possa vivere alla grande i vent’anni con una persona accanto, e se mi guardo indietro non ho mai avuto lunghi periodi da single. D’altra parte non mi va di fare progetti, preferisco prendere le cose come arrivano e penso che sia un po’ presto per decidere il mio futuro».
A 26 anni si sente un ragazzo o un uomo?
«Un ragazzo, uomo è una parola grossa... Devo ancora crescere e mettere tanti mattoni sotto i piedi. Anche nel lavoro: quando ho girato Il conte di Montecristo, una grande produzione con tanti attori, mi sono sentito come un bambino che entra per la prima volta al circo».
E allora come reagisce quando la paragonano a Timothée Chalamet?
«Ho un po’ la sindrome dell’impostore, faccio fatica a sentirmi bravo. Ma i paragoni con grandi attori fanno sempre piacere».
L’ultimo viaggio che ha fatto?
«In Giappone con due amici. Sono affascinato dalla cultura giapponese sin da piccolo, forse per via dei film d’animazione di Miyazaki. Ne ho approfittato anche per un corso di sushi: le proporzioni tra aceto e sale le ho già dimenticate, in compenso l’altro giorno ho preparato un ottimo ramen».
Una sua passione bizzarra?
«Mi costruisco da solo i mobili, recuperando i materiali qua e là.
L’ultimo è un tavolo che ho fatto partendo da una cornice: l’ho coperta con un foglio di rame e per le gambe ho usato il bambù. La trovo un’attività utile perché migliora le mie capacità di problem solving».
E gli anelli, invece? Ne indossa sempre diversi.
«Questa è una cosa che ho preso dai personaggi del mondo fantasy. Ne ho una quarantina, mi piacciono perché sono oggetti piccoli ma con un sacco di dettagli».

C’è stato un periodo in cui era ubiquo (Un professore il martedì sera, Noi siamo leggenda il mercoledì...): una serie italiana in cui non c’è, ma avrebbe voluto esserci?
«Boris
, perché è riuscita a rappresentare il mondo del cinema in modo grottesco ma nello stesso tempo molto vero»