la Repubblica, 9 maggio 2025
La congiura del silenzio
Cinque referendum dietro l’angolo, ma non lo sa nessuno. Zero informazioni sulla Rai, zero virgola sulle tv private, sulle radio, sui giornali.
Ed ecco allora la notizia: li voteremo – o almeno dovremmo – l’8 e il 9 giugno, fra un mese. In coincidenza con il secondo turno delle amministrative, che coinvolgono 461 Comuni. E perché non, invece, il 25 maggio, insieme al primo turno? Ovvio: perché il primo turno, storicamente, è sempre più affollato. Hai visto mai, qualche elettore in più potrebbe scoprire la notizia e magari deporre nell’urna la sua scheda.
Ma in realtà tutta la storia di questo istituto di democrazia diretta è scandita da ostacoli e trucchetti.
E tutti i governi, di destra o di sinistra, di centro o di lato, ne hanno sempre sabotato l’attuazione. Non a caso gli italiani dovettero attendere un quarto di secolo prima d’incassare la promessa dei costituenti (la legge istitutiva è del 1970, il primo referendum fu celebrato nel 1974). Da allora in poi il voto popolare è stato frodato ripetutamente, come nel caso della consultazione sul finanziamento pubblico ai partiti (abrogato nel 1993 dal 90% dei votanti, ma subito riesumato sotto mentite spoglie dai partiti). È stato confiscato, ricorrendo allo scioglimento anticipato delle Camere pur di rinviarlo alle calende greche (accadde nel 1972, nel 1976, nel 1987, nel 1994). Infine è stato prosciugato, organizzando l’astensione per fare mancare il quorum di validità del referendum (celebre il caso della fecondazione assistita nel 2005).
Risultato: dal 1997, con la sola eccezione dei referendum del 2011 per l’acqua pubblica e contro il nucleare, non si è mai più raggiunto il quorum. E 30 consultazioni referendarie sono saltate l’una dopo l’altra. Del resto, quando un elettore su due diserta ormai le urne, per i nemici del referendum non c’è più bisogno d’organizzare l’astensione. Non serve invitare gli italiani ad andarsene al mare, come fece Craxi nel 1991. O magari in chiesa, come consigliava il cardinal Ruini nel 2005. È sufficiente tacere, non muovere foglia. Confidando, oltre che nell’apatia degli elettori che vivono in Italia, nei 5 milioni d’italiani residenti all’estero, che sui referendum non vanno mai a votare.
E ringraziando a bassa voce la Consulta, che negli ultimi tempi si è incaricata di tagliare le spine più pungenti, i quesiti maggiormente popolari. L’ha fatto nel 2022, dichiarando inammissibili le domande referendarie sulla cannabis e sull’eutanasia. L’ha rifatto anche quest’anno, disinnescando il quesito sull’autonomia differenziata, esplosivo come una bomba sul governo.
Sicché va in scena la congiura del silenzio. Imbastita con il favore dei prefetti, artefici d’una circolare rivolta alle scuole e alle amministrazioni pubbliche, per vietare ogni attività d’informazione (in base alla distorta applicazione di una legge del 2000). E giustificata con l’ipocrita argomento di non voler interferire sulle scelte del popolo sovrano. Ma non è così, non è questa la grammatica della democrazia.
Perché l’astensionismo elettorale costituisce viceversa il suo veleno, come ha ricordato Mattarella il 25 aprile.
E perché i referendum, insieme al voto politico e amministrativo, sono lo strumento che i costituenti ci hanno elargito per contare, per farci valere. Dopotutto la prima Repubblica fu battezzata da un referendum (nel 1946). E un altro referendum (nel 1993) ha schiuso i battenti alla seconda. Se questo istituto adesso è in crisi, significa che è in crisi il nostro stesso sistema democratico.
Eppure la Cgil ha depositato un milione di firme in Cassazione – il doppio di quelle necessarie – per i quattro quesiti sul lavoro. E la sottoscrizione online ha fatto volare le adesioni al referendum sulla cittadinanza. Servirebbe introdurre il voto da remoto, o perlomeno abbassare il quorum alla percentuale effettiva dei votanti nelle ultime politiche, per rivitalizzare il referendum. Dovrebbe farlo la maggioranza di governo, mentre farnetica di democrazia diretta attraverso il premierato. Invece no, tutti zitti e mosca. I nostri governanti s’appellano continuamente al popolo, ma sotto sotto ne hanno una gran paura.