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 2025  maggio 09 Venerdì calendario

Matteo Garrone: "Ho visto il mio primo film a 19 anni fino ad allora volevo fare il tennista"

«Andando avanti con l’età, sono diventato meno duro. Non so se riuscirei a rifare film come L’imbalsamatore o Primo amore. Quest’ultimo è stato difficile. Tanto per le riprese, quanto per il tema delle dipendenze sentimentali». Al Cinema Massimo di Torino 0tutti ascoltano Matteo Garrone in religioso silenzio. Scambia domande e risposte con il direttore del Museo del Cinema Carlo Chatrian e un pubblico variopinto, di giovani e non. Ieri, in oltre un’ora di dialogo prima della proiezione del suo Pinocchio in pellicola, il regista ripercorre tappe e aneddoti legati ai suoi film. Tenendo ferma una considerazione: «Ogni pellicola è un quadro. Io non dipingo più da 30 anni. Ma la pittura non mi manca, perché il cinema ce l’ha dentro di sé».
Era il 1996, al Torino Film Festival portava la sua opera prima, Terra di mezzo. Aveva 26 anni. «Ricordo un festival vivo, identitario, pieno di gioventù, ne ho ritrovati raramente esempi simili. Vinsi il premio della giuria, il cui presidente era il regista iraniano Mohsen Makhmalbaf. Gli feci i complimenti per le sue opere e lui rimase imbarazzatissimo, soprattutto perché aveva odiato il mio film». Fino a 7 anni prima, Garrone ricorda di «non aver mai visto un film. Il primo è stato Il settimo Sigillo. Volevo fare il tennista e mio papà era disperato». Sul grande schermo, parte uno spezzone di Estate romana. «Lì ho notato la volontà di sorprendere lo spettatore e la mia vocazione verso la commedia che però non ho mai tirato fuori fino in fondo. È un genere meraviglioso e difficilissimo». Abbassa il tono della voce. Ma le parole al microfono restano ben scandite: «Ora mi è venuta voglia di fare una commedia», sorride.
E Reality? «Aveva dei momenti di ironia. Ma è un film che è stato frainteso al momento dell’uscita. Non c’entrava nulla con la casa del Grande Fratello. È una storia accaduta davvero al fratello della mamma di mio figlio, che voleva entrarci a tutti i costi fino a portarlo a una forma di psicosi e a una depressione. Alla base c’era l’idea che per esistere devi entrare dentro la tv». Poi Chatrian lancia una riflessione: «Non ti piace fare semplice realismo, come dimostrano Il racconto dei racconti e Pinocchio». Risposta: «Quando lessi la prima volta Gomorra di Saviano, mi colpì la metafisica del racconto che quasi diventa fiaba. Mi portò in una realtà che non mi aspettavo, lo stesso effetto di un libro di Jack London o Robert Louis Stevenson. Posso dire che Io capitano è la sintesi tra realismo e questa forma di fantasia». Pausa. Viene proiettato Aniello Arena nei primi giorni di riprese di Reality con i carabinieri che controllano se fosse realmente sul set. Garrone torna sui suoi passi nella riflessione. «Girare Il racconto dei racconti in inglese l’ho vissuto come un tradimento all’Italia, una mancanza di fiducia verso i nostri attori – afferma –. Sentivo di dover ripagare un debito, per questo ho deciso di fare Pinocchio». Non nasconde l’ispirazione dallo sceneggiato firmato Luigi Comencini. Forse anche perché «ero fidanzato con la nipote – racconta –. In quel periodo, Benigni, mi ha raccontato che, dopo La vita è bella a fine anni Novanta, era stato chiamato da Francis Ford Coppola per interpretare Geppetto. Pensa il destino... Poi gliel’ho proposto e il suo concept un po’ spelacchiato e con la barba l’aveva destabilizzato. Meno male che alla fine Nicoletta Braschi l’ha convinto».