Il Messaggero, 9 maggio 2025
«Riepilogo tutti i miei film E a settembre torno sul set»
C’è un’immagine, catturata ieri dalla regia televisiva e poi rimbalzata sui social a mo’ di meme, che rende con plastica efficacia la pesantezza della serata inflitta ieri agli spettatori (e non solo) dai David di Donatello: Nanni Moretti che, seduto in platea, si porta sconfortato una mano alla tempia, come a chiedersi la ragione per cui sia potuto finire là in mezzo (era candidato ai David come produttore di Vittoria). Ieri è stata la prima apparizione pubblica del regista del Sol dell’avvenire dopo l’infarto che lo ha colpito lo scorso aprile, sorprendendolo durante la preparazione del suo nuovo film. Un incidente di percorso al quale Moretti ha risposto a modo suo: organizzando nel suo cinema (il Nuovo Sacher), da oggi fino a martedì 13, la prima parte di una retrospettiva completa dei suoi film. Un “riepilogone” che si articola in una serie di proiezioni che coinvolgeranno, per adesso, Io sono un autarchico, Ecce bombo e Sogni d’oro, e che nel corso dell’anno includerà anche gli altri film, documentari compresi. Il titolo è “Tuttomoretti prima parte": ogni serata, avverte il regista, sarà accompagnato da una sua presentazione. “Corposa”, specifica.
Moretti, innanzitutto: come sta?
«Bene, per uno che ha avuto due infarti in sei mesi».
Il nuovo film a che punto è?
«Ho finito proprio in questi giorni di scrivere la sceneggiatura con Federica Pontremoli e Valia Santella. Produrrà ancora una volta la Fandango con la Sacher. È una storia d’amore. Mi sa che sta venendo un film romantico...».
Le riprese quando?
«A settembre. Sto cominciando adesso a pensare al cast».
Perché “Tuttomoretti”?
«Non ho mai fatto rassegne di questo tipo nel mio cinema: mi sembrava il caso di cominciare a fare un riepilogo».
Con chi presenterà le serate?
«Da solo. Per ora partiamo con i primi tre, poi penso che farò Bianca e La messa è finita: sono i film nei quali ho cominciato a dare più importanza alla trama e all’intreccio, ed è stato fondamentale l’apporto di Sandro Petraglia. I tre film successivi (Palombella Rossa, Caro Diario e Aprile) li ho nuovamente scritti da solo, e in tutti e tre ho voluto raccontare le storie non in modo classico ma con tanta libertà narrativa. Naturalmente ho potuto girarli senza una sceneggiatura precisa, perché nel frattempo ero diventato produttore di me stesso con la Sacher Film».
Che pubblico si aspetta in sala?
«Il pubblico del Sacher cambia molto, a seconda dell’offerta: i Rendez-vous del cinema francese, oppure l’ultimo film di Matteo Garrone, o il festival del cinema lesbico hanno di volta in volta pubblici differenti. Con mio stupore ho scoperto che i miei film molto vecchi riescono a parlare ancora a un pubblico giovane. A quei tempi non lo avrei mai immaginato».
Alla fine si è ritrovato d’accordo con una maggioranza.
«Il mio pubblico, ahimè, non fa parte di una maggioranza. I miei film vanno benino, ma non sono mai dei successi clamorosi».
Il suo esordio, “Io sono un autarchico”, diventò un cult nei cineclub: che ricordi ne ha?
«Costò tre milioni e 300 mila lire, che per un film in Superotto era tanto. Me li presto mio padre e glieli restituii l’anno dopo, quando feci Ecce bombo. Chiamai a recitare amici che non avevano alcuna intenzione di fare gli attori nella vita, chi studiava medicina, chi matematica... solo a uno interessava fare l’attore e poi l’ha fatto – Fabio Traversa, che nel film interpreta il regista teatrale che mette su uno spettacolo d’avanguardia. Tra gli amici coinvolti c’era Beniamino Placido. Quando lo portai a fare il doppiaggio ebbe uno scatto e disse: “Io non riesco ad andare a sincrono con quello li!”. E “quello lì” era se stesso. Scappò via, letteralmente, non esagero. Finì che lo doppiò Michele Mirabella (noto per i programmi di medicina, ndr).
Come si spiegò il successo?
«La mia generazione veniva vista come quella di giovani che si prendevano sul serio, molto ideologici e incapaci di ridere di se stessi. La sorpresa fu che un regista giovane prendeva in giro il suo ambiente, la sinistra e i suoi coetanei».
Il secondo film spesso è meno buono del primo. Ma “Ecce bombo” funzionò. Perché?
«Un altro regista al posto mio, nel passaggio dal Superotto all’industria, dal pubblico dei cineclub al pubblico dei cinema veri e propri, avrebbe banalizzato la sua personalità, pensando magari che il pubblico non avrebbe capito quello stile, quell’ironia, quei personaggi per niente rappresentativi della società. Io no. L’ambiente sociale, politico e generazionale di Ecce bombo è lo stesso di Io sono un autarchico, l’ironia pure. Così come lo stile, inclusa la macchina fissa, inchiodata, che in Ecce bombo si muove solo due volte, mi sembra. E poi una scoperta”.
Quale?
"Pensavo di aver fatto un film doloroso per pochi, scoprii invece di aver fatto un film comico per tutti”.
"Sogni d’oro” è, come si dice, il suo “Otto e mezzo”?
«Non facciamo paragoni assurdi, per favore. Non è il mio Otto e mezzo, e nemmeno il mio Effetto notte, e nemmeno il mio Schiava d’amore. Anche se Otto e mezzo è senz’altro uno dei film che ho visato di più al cinema, insieme alla Dolce vita e Nostra signora dei turchi”.