Avvenire, 9 maggio 2025
Super-spionaggio della Cia in Groenlandia Copenaghen convoca l’ambasciatore Usa
Da quando tra Paesi “amici” ci si spia? Se lo è chiesto il ministro degli Esteri danese, Lars Løkke Rasmussen, quando ha saputo che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti hanno ricevuto l’ordine di organizzare un’intensa attività di spionaggio in Groenlandia. Come si usava ai tempi della Guerra fredda. «Ci serve, dobbiamo averla», ha rilanciato più volte il presidente Donald Trump parlando dell’isola di ghiaccio. L’idea del tycoon, un’ossessione sin dai tempi del suo primo mandato alla Casa Bianca, è che il Paese a 800 chilometri dal Polo Nord sia necessario a contenere le mire espansionistiche di Russia e Cina nell’Artico e, dettaglio non secondario, a rifornire gli Usa dei minerali rari di cui è ricco. L’ultima mossa intrapresa da Washington sulla Groenlandia è risuonata al governo di Copenaghen, che ne detiene la parziale sovranità, come una conferma: quelli di Trump non sono proclami fini a se stessi ma puro esercizio di “hard power”. Ciò significa che, semplicemente, fa sul serio.
L’incremento delle attività di intelligence Usa a Nuuk era un’indiscrezione fatta circolare dal “Wall Street Journal” che, citando due fonti anonime, aveva raccontato delle sollecitazioni ricevute da alti funzionari al servizio di Tulsi Gabbard, direttore della National Intelligence, a raccogliere informazioni sul movimento indipendentista attivo in Groenlandia e sull’approccio da questo dimostrato in merito all’eventualità di consentire agli Usa lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’isola. Le direttive arrivate dall’“alto”, così dettagliava il Wsj, chiedevano di utilizzare ogni mezzo a disposizione degli 007 statunitensi, comprese intercettazioni e sorveglianza satellitare, per individuare sul territorio persone ben disposte a favorire il raggiungimento degli obiettivi fissati della Casa Bianca. A conferma della portata concreata del piano, il cosiddetto “Geenland Order”, è stata la reazione piccata di Gabbard intervenuta a condannare l’inchiesta: «Dovrebbero vergognarsi di dare voce a impiegati infiltrati nell’Amministrazione per minare il lavoro del Presidente e politicizzare informazioni riservate». «Stanno infrangendo la legge – ha aggiunto – e minando la nostra democrazia».
Il ministro danese Rasmussen si è detto «molto preoccupato» dalle indiscrezioni (non smentite) del quotidiano statunitense ma non ha potuto far altro, per il momento, che annunciare la convocazione di Jennifer Hall Godfrey, ambasciatrice Usa ad interim in Danimarca, per chiedere chiarimenti. Il governo di Mette Frederiksen aveva ingoiato, a fine marzo, anche la visita a Nuuk del vice presidente JD Vance che, dal canto suo, aveva provato a smarcarsi dalle accuse di «pressione inaccettabile» sottolineando che gli Stati Uniti credono «nell’autodeterminazione dei groenlandesi» che, tra l’altro, poche settimane prima, erano andati alle urne per eleggere il nuovo parlamento portando alla guida del governo di coalizione i cauti nazionalisti di Demokraatit. A far pensare che la situazione resterà critica a lungo è l’atteso arrivo sull’isola di Drew Horn, ex collaboratore del leader del Gran Old Party durante il suo primo mandato, alla guida di un gruppo di investitori pronti a iniettare, «il prima possibile», nelle attività estrattive locali almeno dieci miliardi di dollari. «Non sono il cavallo di Troia di Trump – ha assicurato – e spero di avere l’occasione per dimostrarlo».